giovedì 29 marzo 2018
Una melanzana per pena [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
Chi non si è mai fermato a raccogliere da un albero una ciliegia per mangiarla, anche se il ciliegio non era suo, alzi la mano. Saltate fuori ipocriti. Fatevi vedere. Nella vita a volte capita di “rubare” qualcosa ad altri. Virgoletto il verbo rubare proprio perché, parliamoci chiaro, di veri furti non si può parlare. Provengo da una famiglia di contadini e ogni anno capita di vedere qualcuno che si ferma sul ciglio della strada, in macchina o in bicicletta e prende un’albicocca o una pesca, oppure un grappolo d’uva e se lo mangia. Diverso chi invece riempie una borsina o addirittura una cassetta. Capita anche di avere fame. In Italia poi questa condizione sta diventando purtroppo una consuetudine. Troppa gente ha fame. Fame di tutto, anche di cibo.
Nel 2009 nel leccese, un uomo di 49 anni era stato sorpreso a “rubare” una melanzana. Una sola. Il suo stato confermato di indigenza lo aveva spinto anche in precedenza a commettere questo gesto non condannabile, se si parla di buon senso o di umanità. Per la legge invece pare che le cose vadano in maniera differente. Pagine di leggi, libri interi, codici. E niente. Nove anni di cause in tribunale. Fingiamo per un attimo che anziché una melanzana, avesse riempito il baule dell’auto e vi dicessi che per uscire da questo calvario, ci sono voluti 9 anni di spese, da parte sua e da parte dello Stato, per concludere la vicenda, già la cosa avrebbe dell’assurdo. Se poi pensiamo che la melanzana era una sola e che per giunta, era stata rubata per fame, l’aggravante è servita. Siamo uno strano paese, fatto di leggi, migliaia, forse di più. A volte addirittura una che dice il contrario dell’altra. Spesso leggi non chiare e quindi discutibili, interpretabili. La giustizia dovrebbe essere fatta anche di uomini. Uomini di legge. Capaci di fare un passo indietro e vedere qualcosa di più ampio che un codice di procedura penale. Alla fine, giustizia è stata fatta. L’uomo dopo 9 anni è stato assolto, ma quanto penare. Quanti soldi buttati, quanto tempo perso. Quanta serenità andata a male e quante occasioni di fare bella figura, buttate al vento. Parliamoci chiaro. In un paese dove capita di sentire che chi commette atrocità, se ne sta dopo pochi anni agli arresti domiciliari, o in libertà vigilata, o ancora peggio, la fa franca, pensare a una melanzana che ti porta via 9 anni di sonno, fa schifo davvero. Ho sempre pensato che rubare un pezzo di pane per fame, per i propri figli, non fosse reato. Ho sempre pensato che al mondo dovesse esserci una giustizia molto più grande di quella che si trova nelle aule di tribunali. Ho sempre pensato male forse. Alla fine il lieto fine certo. Bacchettati dalla corte pure i giudici che l’hanno menata per anni alle spese di questo povero uomo. Però che accade? I giudici alla fine pagano ammenda? Vengono portati loro stessi in tribunale a scontare la pena di aver inflitto dolore e umiliazione a qualcuno? A pagare per aver sperperato inutilmente soldi pubblici per una melanzana? No. Non commento la questione, troppa rabbia. Però davvero, fosse stata presente anche la melanzana in tribunale il giorno finale del processo, e fossero stati presenti anche i giudici che hanno sbagliato, forse mi sarei divertito.
Franco Quadalti.
Gelato al cioccolato [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
Gelato al cioccolato, dolce e un po’ salato, tu gelato al cioccolato. Leggo la notizia e mi scappa da ridere. Penso a Salvini e me lo immagino al bancone di una gelateria mentre chiede un gelato al cioccolato. Che dire, non smetto di ridere. Andava bene anche la nocciola. Il bacio. Insomma, andava bene più o meno tutto. La notizia vera non fa del tutto ridere. C’è da pensarci un po’ su. Ciò che è vero, o sembra vero, è che Salvini ha chiesto un gelato e non gli è stato servito perché la commessa di turno, non serve i razzisti. Continuiamo a restare leggeri ancora per un po’. Non servire un gelato a chi viene tacciato di razzismo, è da considerarsi razzismo? Oppure resta un gesto dovuto. Oppure è qualcosa che non si deve fare e basta? È giusto negare qualcosa a qualcuno accusandolo di qualcosa che noi stessi stiamo facendo? Insomma, non entro nel merito politico, non me ne frega nulla.
Dietro a Salvini come dietro ad ogni politico, c’è un mondo di verità dette come di bugie, di voci amplificate e di frasi taciute, sentite da pochi, ingigantite e gettate in pasto a tutti. Un uomo entra in gelateria, chiede un gelato, e gli viene negato. La vicenda non termina qui. Si narra che la commessa sia stata licenziata, non per il gesto in sé, ma dopo una telefonata di Salvini alla gelateria. La lamentela avrebbe fatto, sempre secondo queste voci, prendere come provvedimento da parte della proprietà della gelateria, un provvedimento molto duro. Licenziamento. Da qui la madre che scrive a Salvini, la gente indignata che scrive alla gelateria, la gelateria che scrive al mondo. Aveva un contratto a termine, è terminato. Fine del lavoro. Così dicono. Sappiamo tutti come gira il mondo. Sappiamo tutti cosa ci accade quando qualcuno di una nazionalità diversa ci guarda male per le strade della nostra città. Sappiamo tutti cosa ci succede quando abbiamo voglia di un gelato. Salvini ora sa anche cosa si prova quando chiede un gelato e glielo negano. Il mondo del web indignato perché se è vero che Salvini ha telefonato alla gelateria, allora è vero anche che una ragazza è senza lavoro a causa sua. Salvini e la gelateria negano questa telefonata. Ma diciamocela tutta, chi non si è mai visto negare qualcosa al ristorante o in un bar, fosse anche solo un semplice buongiorno, e non si è lamentato. Cosa fa scalpore allora? Che nella vicenda ci sia un uomo politico? Che si parli di razzismo? Che il gelato va fatto sempre a tutti? Che non si mischia il lavoro con la vita privata? Che di gelaterie ce ne sono tante per farsi venire il nervoso se non ti servono il tuo gelato? Personalmente mi è capitato che il gelato facesse schifo e lo lasciassi sul bancone dopo appena averlo assaggiato. Mi è anche capitato di ordinare un chilo di gelato e di sentirmi chiedere dalla commessa “lo mangi subito?”. Ho risposto “ma certo, volevo appunto chiederti un cucchiaio!” Lasciate perdere il razzismo dove non c’è e telefonate con lamentele fatte o non fatte. Salvini è una persona che conoscono tutti. Ora conosceranno in tanti anche la gelateria, la commessa licenziata e il gelato al cioccolato. Scherzo, guai a nominarlo che poi c’è chi ci resta male. Mi è venuta voglia di gelato, spero me lo servano anche se sono un po’ stronzo. Che poi mi tocca chiamare il titolare e dirgli la verità.
Franco Quadalti
23 anni e paralizzata [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
Il fatto che ormai nulla mi stupisce più leggendo i giornali, inizia a preoccuparmi. Se mentre fino a poco tempo fa, in ogni pagina, la mia espressione passava da preoccupata, a spaventata a inorridita, oggi credo la rassegnazione abbia ormai preso il sopravvento. È davvero difficile immaginare ormai un mondo di belle cose. Oh, c’è chi ci prova sia chiaro a fare del bene, ma credo che lo faccia con gli occhi chiusi, come quando da ragazzino, davanti ad un ostacolo, con il motorino si chiudeva gli occhi e si dava gas, sperando che tutto andasse bene. Ormai una notizia come tante. Violenza, il titolo. Violenza, lo svolgimento di un tema ormai troppo noto per fare notizia. Eppure si deve, non tanto per dovere di cronaca, ma perché vomitando fuori quello che accade, forse un giorno, la malattia passerà. Arrestato nel fiorentino un quarantatreenne nigeriano, Daniel Chukwuka.
Arrestato dopo che il 26 luglio, aveva gettato una giovane di 23 anni dalla finestra. Non so nemmeno dire se il fatto che l’abbia gettata dalla finestra a abbia a che vedere con il fatto che lei si era rifiutata di fare sesso con lui. Ormai che senso ha il motivo. Sta tutto nel gesto. Alla fine di quel volo lei resta in coma. Alla fine di quel volo, resta sulla sedia a rotelle e ci resterà per tutta la vita. Che senso ha ora dire il perché. Un gesto di rabbia, dice lui, per essere stato rifiutato. Il no fa male a tanti. Ma la reazione ad un no, cambia di animo in animo. Cambia da persona a persona. Qui non si vuole nemmeno discutere sul colore della pelle, sulla nazionalità, sulla religione. Qui non esiste nulla se non la razza peggiore tra gli animali che entra in scena per il suo spettacolo maestro. Violenza. Nel caso specifico, violenza su una donna. Femminicidio. Nel tempo in cui la ragazza è stata in coma, gli inquirenti avevano preso come plausibile la prima versione del nigeriano, secondo la quale, la ragazza si era gettata da sola dalla finestra. Piuttosto morire, piuttosto rischiare di morire che schiava di qualcuno o di qualcosa. Talmente tanto comprensibile questo gesto, che davvero sarebbe potuto accadere. Invece il peggio del peggio deve ancora accadere. La ragazza si sveglia e racconta. Non si è buttata. Non è caduta per disgrazia. È stata gettata giù dal suo mostro. Mi piace pensare che in un mondo parallelo, chi compie gesti del genere paghi fin da subito. Mi piace pensare che la Divina Commedia di Dante, non sia solo un libro ma l’espressione reale di questo mondo parallelo. Mi piace pensare che sia tutto finto. Tutta una bugia. Invece no. Mi piace pensare che per che per chi ti toglie la libertà, ci sia qualcuno o qualcosa che ti renda il favore. La legge? Sorrido. Anzi, rido proprio. Sui giornali la notizia di arresto. Non so poi dove andremo a trovare quella in cui, tra un tempo troppo corto, ce lo ritroveremo in giro per la strada, sotto falso nome, sotto falsi occhi, sotto mentite spoglie di un uomo per bene. Non so cosa mi spaventi di più di tutta questa storia. Il prima o il dopo. Quando accadono queste cose, mi si toglie la voglia di raccontare. L’ennesima storia di violenza in cui a pagare è una donna.Un prezzo troppo caro per un no. Un prezzo diviso e condiviso tra troppe donne, che però non diminuisce mai. Fatela finita. Aprite la finestra e buttatevi. Siete bestie, imparate a volare o estinguetevi.
Franco Quadalti
Una diversità fatta di niente [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
Onestamente non so dire sotto cosa archiviare questa che ormai sembrerebbe essere una triste consuetudine del nostro tempo. Razzismo, bullismo, non lo so davvero. Il dispiacere più grande, al di là della morte di una ragazza, è appunto il fatto che ormai le pagine di cronaca sono piene di queste maledette storie. Storie che devastano famiglie. Botte, calci e pugni per quelle che pare essere la direzione che sta prendendo la nostra società. Miriam Moustafa, era in autobus in compagnia di un suo amico quando, il 20 febbraio scorso, è stata picchiata da un gruppo di coetanee. Aveva appena ricevuto la notizia di essere stata ammessa all’università. Aveva scelto ingegneria per il trampolino di lancio del suo futuro. Un futuro che è stato cancellato da quell’ultimo viaggio in autobus.
Di origini egiziane ma nata e cresciuta a Olbia, Miriam aveva già sbattuto contro l’ignoranza e la violenza del suo tempo. Altri episodi di cattiveria l’avevano vista protagonista in passato. Un paio di ragazze del
“commando” che le ha spezzato la vita infatti, si erano accanite su di lei già una volta, e forse più. Difesa invano dall’amico e dal conducente dell’autobus, era stata trasportata in ospedale e poco dopo dimessa troppo frettolosamente. Caduta in coma per le gravi ferite riportate, dopo tre settimane ha trovato la fine. Questa è la triste cronaca dell’accaduto. Una cronaca fredda come il cuore delle persone che le hanno chiuso gli occhi per sempre. Ditemelo voi il perché. Di bullismo se ne hanno piene le tasche, di razzismo pure. Fa schifo definire tutto questo come una costante del nostro tempo. La morte di qualcuno come cartolina del nostro mondo. Si cercano tutti i colpevoli, come sempre. Si cerca il movente. Si cercano tutti i perché. Si scava nella merda e nell’orrore per poter dormire sonni tranquilli. Trovato il mostro, la paura passa. Poi l’attesa sempre più breve che conduce al disastro successivo. Sono stanco. Serve pulizia. Serve pace. Si devono lasciare andare i luoghi comuni secondo i quali ci deve essere un perché a tutto questo. L’unica cosa che è chiara è che l’essere umano fa schifo. Va riprogrammato. Va ripulito da dentro. Idee, pensieri. Sciogliere catene e costumi. Religioni, politiche, usanze. Occorre tornare tutti uguali. Occorre tornare indietro a quando non c’era nulla che ci distinguesse uno dall’altro. Occorre resettare. Ma si può tutto questo? Dicono che ogni cosa, raggiunto il proprio apice, crolla e dopo il silenzio, si può ricostruire. Stiamo crollando, andando a fondo, morendo. Aspettiamo il silenzio della fine ormai. È come se attendessimo di finire il male che c’è. Come se stessimo raschiando il barile della violenza come unica risorsa. Poi, potremo rinascere. A noi tocca tenere duro e aspettare. Non so se sperare che tutto ciò duri ancora molto o che domani finisca tutto. Allora facciamo del proprio meglio, per non finire tra i colpevoli, anche se alla fine ci siamo dentro tutti. Io che scrivo, tu le leggi. E intanto la gente muore per una diversità che non esiste.
Franco Quadalti.
domenica 18 marzo 2018
Il pretesto della pazzia [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
Finchè la donna non ha iniziato a poter esprimere sé stessa liberamente, è sempre stata considerata poco. Quasi un oggetto. Come tale, l’uomo si sentiva in diritto di metterla a tacere o vietarne la libertà anche solo con subdoli comportamenti. Niente voto, niente opinioni da poter esprimere. Una voce che trovava spazio solo dentro le mura di casa, libera poi solo in assenza del “padrone”. Poi le cose sono cambiate, ma per un tempo infinitamente lungo, sono rimaste nell’ombra. Le donne e i propri diritti. Le donne e la propria libertà. C’era anche di peggio del silenzio obbligato. C’erano violenze piscologiche, fisiche. Per tante c’è stato anche il manicomio. Annacarla Valeriano, che ha passato in esame le cartelle cliniche delle ricoverate nel manicomio Sant’Antonio Abate di Teramo, a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento fino al 1950.
Ha studiato Storia contemporanea all’Università di Teramo. Lavora presso l’Archivio della memoria abruzzese della Fondazione Università di Teramo. Con Donzelli ha pubblicato Ammalò di testa. Storie dal manicomio di Teramo. È andata a scavare dietro le mura di luoghi molto bui, dove la verità veniva seppellita con le sue donne. A volte era la guerra a trascinare la donna nello sconforto. La partenza del proprio uomo per il fronte, la paura, la fame, i figli. A volte era una sessualità pronunciata, fuori da quelle rigide regole di una società retrograda e maschilista. Sessista. A volte era un carattere forte, non disposto a piegarsi alla volontà di un uomo padrone, violento nelle mani e nella testa. A volte era frutto di un piano per togliere libertà senza un perché. Una prigione dalla quale non c’era ritorno. Una prigione dove diventavi colpevole anche se non lo eri stato entrandoci. Una pena detentiva forzata, ingiusta, ben lontana da quel requisito onesto e cautelativo, anche protettivo nei confronti di chi davvero non poteva farcela da solo. Poi si potrebbe anche aprire un capitolo immenso sul valore di questo modo di proteggere. Insomma, una prigione di massima sicurezza per chi non doveva esserci, per chi non doveva parlare, mostrarsi, pensare. Guardo alcune foto del libro di Annacarla Valeriano e leggo negli occhi di alcune donne la sconfitta. L’abbandono. Ma una luce che dice “questo non è il mio posto”. Donne che hanno perso una battaglia più grande di loro. Una guerra vinta molti anni dopo, non andrà mai a restituire ciò che è stato ingiustamente tolto. Oggi le donne si sono riappropriate di tutto. Anche del potere di restituire il male fatto. Anche il potere di farlo, gratuitamente. Nell’essere state riportate al giusto stato di parità, hanno attinto da questa parità tutto. Ora davvero non c’è differenza tra uomo e donna. Ma è passato ancora troppo poco tempo da quando si chiudevano le porte di una stanza silenziosa ed eterna, per dimenticare il male che l’uomo ha fatto alla donna. Non c’è modo di recuperare. C’è solo da ricordare.
Franco Quadalti
martedì 13 marzo 2018
Riassunto Samuelson [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
La seconda metà del 900 ha visto una crescita praticamente ininterrotta del tenore di vita e la diffusione del libero mercato, della democrazia e delle libertà personali in molte aree del mondo
Esiste una crescente preoccupazione per i problemi ambientali internazionali
Importanza della globalizzazione, che riguarda la crescente integrazione economica di diversi Paesi
1. LE BASI DELL’ECONOMIA.
L’economia è lo studio del modo in cui le società utilizzano risorse scarse per produrre beni utili, e di come tali beni vengono distribuiti tra i diversi soggetti
- le risorse sono scarse (i beni sono limitati rispetto ai desideri)
- la società deve utilizzare tali risorse in modo efficiente (miglior utilizzo possibile delle risorse economiche al fine di soddisfare i bisogni e i desideri degli individui)
Un sistema economico produce in modo efficiente quando non è in grado di migliorare le condizioni economiche di un individuo senza peggiorare quelle di un altro
Microeconomia: branca dell’economia che si occupa del comportamento di singole entità, quali i mercati, le imprese e le famiglie (fondatore: Smith)
Macroeconomia: branca dell’economia che si occupa dell’andamento complessivo di un sistema economico (anni 30, fondatore: Keynes)
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Riassunto Samuelson
Società cultura educazione [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI GIURISPRUDENZA]
La sociologia dell‟educazione oggi è considerata una branca specialistica della sociologia generale, concentra i suoi studi sulle istituzioni e sui processi formativi ed educativi; affronta lo studio dell‟educazione secondo un punto di vista sociologico.
Dopo un lungo processo di definizione del proprio statuto disciplinare che si potuti arrivare a considerare la sociologia dell‟educazione come tale; discipline come la pedagogia e la psicologia(occupandosi a loro volta di questioni educative) ,ne hanno rallentato lo sviluppo .
Secondo Gallino non deve stupire che un sociologo si occupi di questioni educative e psicologiche. Per comprendere la dinamica della società si devono prendere in esame il sistema delle relazioni sociali, l‟insieme della cultura e i tipi di persone che incorporano quella cultura e danno vita al sistema di relazioni.
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Società cultura educazione
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Tesina Carl Schmitt [DOWNLOAD TESI DI LAUREA DI GIURISPRUDENZA GRATIS]
Tra i pensatori sostenitori del regime nazista, instaurato nel 1933, uno dei più importanti fu Carl Schmitt (1888-1985), teorico della politica e del diritto. Nato da famiglia cattolica in Renania, compiuti gli studi di legge, insegnò dopo la guerra nelle università di Greifswald e Bonn e nel 1928 ottenne la cattedra di Diritto nella scuola di specializzazione in amministrazione commerciale di Berlino, dove strinse amicizia con Jünger; nel 1933 si iscrisse al Partito nazionalsocialista, fu nominato consigliere di Stato prussiano e ottenne la cattedra di Diritto pubblico a Berlino. Dopo il massacro delle SA del 1934, egli si tenne un po' in disparte dal regime, in quanto il gruppo che faceva capo a Rosemberg non approvava il primato da lui accordato allo Stato rispetto al popolo e al partito. Egli difese, però, le leggi che nel 1935 sopprimevano i diritti civili degli ebrei e accentuò il suo antisemitismo, così come in seguito giustificherà e glorificherà la guerra e le vittorie di Hitler.
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Wondy [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
Alessandro è un giornalista italiano. Francesca, era una scrittrice, giornalista, blogger. Si erano conosciuti sul lavoro come milioni di altre coppie. Le prime uscite, la scoperta da parte di Alessandro di essere “la quarta scelta” per Francesca. Un po’ come dire “sei rimasto tu, vediamo come va”. Poi da cosa nasce cosa, e spesso nasce bella. Lo stesso mondo da condividere, le stesse passioni, due figli insieme. Amore che nasce e cresce, coltivato, condiviso, messo a nudo. Poi la vita sbatte contro la vita stessa e cambia strada. A volte maledettamente lo fa e non sai mai dove andrai a finire. A volte la vita sceglie la coppia, a volte uno solo dei due, poi si sa, ciò che accada a uno, cambia anche l’altro. Francesca si ammala di tumore. Qui si potrebbero scrivere pagine e pagine, sul dove, sul quando, sul perché. Non serve a nessuno. Succede e si va fino in fondo.
Dopo la notizia, la strada diventa polverosa e dissestata, incerta. Poi crolla e Francesca cade. Che te ne fai di una spiegazione sul perché possa succedere? Ne ho sentiti tanti di ”perché io?”. La vita sa dire “e perché no?”. Non ci sono perché, e se ci fossero, a chi interessano veramente. Ti tolgono tempo, energie, forse ti tolgono anche la forza di continuare a camminare. Quando Francesca è entrata in questo sentiero, Alessandro è rimasto lì con lei a sporcarsi le scarpe e le mani. L’ha accompagnata fino in fondo, poi l’ha persa per sempre. È morta. Certo, si era capito, ma le parole usate sono quelle giuste, è morta. Inutile arricchire o abbellire questo fatto. Nessuno ha lasciato nessuno, nessuno se ne è andato, nessuno ha ceduto o abbandonato. È morta. Fine. Per Alessandro non è finito nulla però. Vede gli occhi di Francesca negli occhi dei due figli, forse anche nei gesti, forse guarda gli oggetti lasciati lì, per casa e si ricorda, la sente, la vive ancora. Ma è morta. Allora decide di scrivere, di lei, di Wondy come era chiamata. Nessuna storia a lieto fine. Non cerca di far vivere ancora Francesca, non cerca di salvarla nel libro. La racconta, semplicemente. Dice a tutti chi era lei, chi era lui. Dice a tutti chi erano insieme. Quell’insieme che non torna, non può tornare nemmeno se Alessandro profuma di lei le pagine del libro. Non torna nemmeno se in ogni pagina c’è la sua vita. Non si torna da lì. Quello è un viaggio di sola andata. Chi va per primo, poi, dicono, si salva per sempre e aspetta gli altri. Mi è sempre piaciuto nelle persone il dire le cose come stanno.
Semplicemente un libro. “Mi vivi dentro”, il suo titolo. Parole scritte che restano negli occhi prima ancora di arrivare nel cuore. Un luogo. Come se Francesca avesse solo cambiato forma, per entrare dentro ad Alessandro, un posto più caldo della vita stessa. Lei è morta. E questo non cambia, non cambierà, ma Alessandro ci racconta che sa dove andare quando le manca fino a fare male. Forse chiudi gli occhi e la vede. Chi legge il libro, mentre lo fa, la sente. Alessandro ha voluto questo, che tutti lo sapessero. Che nulla andasse perduto per nessuno. Francesca è morta. Ma solo per tutti gli altri.
Lei è Francesca Del Rosso. Lui, Alessandro Milan. Mi vivi dentro, le sta dicendo. E lei ascolta.
Franco Quadalti
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