venerdì 27 aprile 2018
SixthContinent
Il rischio nella professione dell'assistente sociale [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
Avevamo in precedenza trattato l’argomento sulla professione dell’assistente sociale.
Ma ricordiamone, nuovamente, l’importanza di essa.
La professione di assistente sociale è sorta e si è sviluppata, quando il concetto di «assistenza sociale» ha trovato una più concreta applicazione legislativa, con l’affermazione della concezione dello «Stato sociale». Per «Stato sociale» si intende quel tipo di Stato che ha come fine e garantisce non solo l’eguaglianza e la libertà dei cittadini, ma anche (entro i limiti in cui le risorse e le energie pubbliche lo consentono) il benessere sociale, sia mediante una serie di attività (tra cui l’assistenza sociale) realizzate da esso in prima persona o attraverso enti pubblici (Regioni, Province, Comuni etc.), sia tramite provvidenze che tutelano fasce di cittadini economicamente più deboli o meno protette.
L’assistente sociale è chiamato a prestare la sua opera in determinati contesti sociali, per cui egli utilizzerà mezzi, strumenti, tecniche e metodi specifici affinché, oltre al sostegno psicologico, possa offrire all’utenza quell’aiuto materiale predisposto dalla società, sempre finalizzato a prevenire o eliminare lo stato di bisogno. Perché ricordare la figura della professione?
Perché oggigiorno ascoltiamo notizie che lasciano senza parole, in cui ci si trova a rischio pur lavorando al servizio della persona per soddisfare richieste, domande, bisogni.
L’aggressività degli utenti, spesse volte, è smisurata.
Gli utenti chiedono l’aiuto, l’assistente sociale si prodiga per attivare un piano d’intervento, ma se, per vari e ovvi motivi, il risultato finale non è quello sperato e si ha un fallimento, gli utenti cosa fanno?
Decidono di scatenare la propria ira sul professionista.
Ultima notizia arriva da Andria, comune della Puglia, una donna versa benzina su assistente sociale.
La donna aveva in tasca un accendino ed era pronta a dar fuoco alla vittima: all'origine del gesto un provvedimento del Tribunale per i minori che ha tolto a lei e al marito la patria potestà del figlio.
La donna ha gettato benzina addosso a un assistente sociale che era in servizio negli uffici del Comune di Andria e aveva un accendino in tasca, pronta a dargli fuoco, ma le urla della vittima hanno fatto sì che intervenissero i vigili urbani che sono riusciti a bloccare la donna.
"La cronaca - dice il sindaco - ci consegna un episodio di enorme gravità". "Il gesto compiuto ai danni di chi - aggiunge il primo cittadino - con dedizione, fa solo il suo lavoro e lo fa con comprensione e responsabilità, è di una gravità assoluta".
La causa di tale condotta sarebbe un provvedimento del tribunale dei minori di Bari, nei confronti della donna e di suo marito, ai quali la scorsa settimana è stata revocata la potestà genitoriale nei confronti del figlio.
"In accordo con il sindaco - ha affermato, l'assessore comunale ai servizi sociali - sarebbe opportuno convocare un tavolo con le forze dell'ordine per capire come lavorare in condizione di sicurezza a cominciare dalla collocazione degli uffici che, come previsto, dovrebbero essere trasferiti nel centro della città".
Tutto ciò ci insegna l’importanza della professione di coloro che si pongono al servizio alla persona, ma anche il rischio che si corre per coloro che ancora hanno dei pregiudizi nei confronti di questa professione, ma che possono essere contrastati attraverso l’informazione sul ruolo e le funzioni di questa figura professionale.
Ilenia Cicatello
Bomba ad orologeria : blocco emotivo [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
Possiamo trovare definizioni ovunque per capire cosa è un “blocco emotivo”.
Spesse volte si pensa che siano due parole messe vicine, dette e/o utilizzate tanto per dire qualcosa senza dare importanza a ciò che si pronuncia. Un blocco emotivo è una “bomba ad orologeria” in un corpo che tende ad essere apparentemente forte ma che si sta distruggendo sottovoce fino al punto di esplodere e frantumarsi in mille pezzi.
Quando una situazione ci colpisce molto a livello emotivo, la nostra mente mette in moto un meccanismo di difesa che ci permette di sopravvivere al problema e questo è ciò che si conosce come blocco emotivo.
In questo modo attutiamo l'impatto della situazione e ci proteggiamo dal dolore.
Più tardi, quando siamo in grado di interiorizzare quanto è successo, accetteremo l'evento e potremo andare avanti.
Da questo punto di vista, il blocco emotivo è una cosa positiva perché ci protegge da una situazione che consideriamo potenzialmente pericolosa.
Ci impedisce di andare avanti e di farci del male o addirittura di essere vittime di uno stress particolarmente intenso che può generare un trauma.
Ovviamente i blocchi emotivi si verificano non solo quando ci troviamo di fronte a circostanze negative, ma sono anche una risposta a notizie talmente buone da sembrare incredibili.
In questi casi, la persona ha bisogno di un periodo di tempo per assimilare l'idea e nel frattempo, è come se non l’avesse percepita, può sentirsi paralizzata o continuare con la sua vita normale, come se nulla fosse accaduto.
Spesso la persona non è in grado di superare questa fase di blocco che impedisce di vivere ogni momento della vita, diventa una convinzione invalidante, un pesante fardello da portare sulle spalle.
I risentimenti, le ferite non rimarginate, le cose mai dette, e, in generale, tutto ciò che viene immagazzinato e rappresenta in qualche modo un carico emotivo, ci distrugge.
A volte questo danno si traduce in problemi di salute, ma altre volte si esprime nei problemi per relazionarsi con gli altri o mediante la frustrazione e la mancanza di autostima.
Tutto questo succede perché la persona preferisce rimanere nella sua zona di comfort, a volte sceglie di restare ancorata al passato, anche quando questo è doloroso, perché ha paura di affrontare il futuro.
La verità è che non possiamo crescere fino a quando non affrontiamo i blocchi emotivi, perché agiscono come delle barriere che ci limitano emotivamente e cognitivamente.
Come possiamo superare questo blocco emotivo?
- Parlare con qualcuno di caro, un amico o un parente; - Affrontare le paure, non chiudendosi in sé stessi;
- Fare attività stimolanti, tenendo la mente impegnata;
- Realizzare i propri obiettivi, iniziando da piccole cose su cui trarre soddisfazione personale. Dopo di ciò, aumentare il livello per poter stimolare maggiormente noi stessi ed aumentare cosi il nostro grado di soddisfazione. In questo modo gratificheremo il nostro ego e riusciremo a superare più facilmente il nostro blocco emotivo.
È molto meglio svuotare la mente, liberarla da tutto ciò che le impedisce di respirare.
La nostra mente anziché essere riempita va svuotata, per renderla limpida, affinché rifletta la realtà.
“La mente è come una valigia che andrebbe svuotata di tutti quei pensieri inutili che la appesantiscono soltanto.” (Emanuela Breda)
Ilenia Cicatello
La classe della solidarietà [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
A ognuno di loro è stato impartito un compito, che può andare dal procurare il cuscino, ad avvisare il bidello, al chiamare un insegnate di un’altra aula nel caso ci sia la necessità. C’è anche chi ha il compito di prendere un farmaco posto con cura in un determinato cassetto. Ognuno è importante, ognuno si sente così. Infatti, ognuno lo è. In un mondo dove regna il menefreghismo e l’apatia, in questa classe si insegna la vita. Un foglio di istruzioni tutto a colori. Con nomi e compiti per ricordare a tutti, costantemente, il proprio importante ruolo in quella famiglia. Per caso i genitori hanno scoperto questo. Per caso forse durante uno dei colloqui. Magari c’è stato un giorno in cui i bambini stessi hanno riferito la cosa a casa. Magari, fino ad oggi, nessuno aveva compreso l’importanza di quei gesti. È una catena fatta di anelli saldi tra di loro. In cui la forza di quella catena, è la solidarietà. Ci saranno le ore di aritmetica, di italiano, certo. Ci sarà musica, ci sarà la grammatica. Poi c’è un foglio con una bella storia da raccontare e si spera, da condividere. In ogni classe c’è qualcuno che resta indietro, vuoi per salute, vuoi per altro. Lo scoprirsi parte di una famiglia unita, può essere davvero la base per quello che ormai viene definito “un mondo migliore”. Si spera sempre ogni giorno che non ci sia mai bisogno di nessuno. Però, all’occorrenza, quel “nessuno” sarà tutto ciò che servirà. Abbiamo bisogno di maestri così per i nostri figli. Abbiamo bisogno da genitori di imparare a essere quella maestra, perché dove finisce la scuola, prosegua nelle nostre case quel mondo. Ora bambini, tra qualche anno, nemmeno troppi, saranno uomini. Si ricorderanno del loro nome su quel foglio. Si ricorderanno di quel compagno di classe. Si ricorderanno di loro stessi, sempre pronti a dare una mano.
Franco Quadalti
Beatrice [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
Sono stato fino a 114 kg. Mi guardavo allo specchio e non riuscivo a vedere null’altro che quello che vedevano gli altri. Un ragazzo obeso. Non riuscivo mai a vedermi con i miei occhi. Era troppo difficile usare i miei. Usavo quelli degli altri perché credevo fossero più obiettivi. Dicevano obeso. Dicevano schifo. Ridevano. Allora io non ridevo mai. Sono Beatrice con tanta fortuna in più. A volte quella fa la differenza. E non sta quasi mai in sé stessi. Troppo facile dare la colpa o il merito a sé stessi. “Io sono stato bravo, sono stato meglio”. Stronzate. “Gli altri” fanno la differenza. Perché “gli altri” sono tanti. Sono molto di più di te stesso. Conti per uno e basta. Allora speriamo di avere tanti “altri” vicino e non lontano. Accanto. Perché poi sono diventato meno per la bilancia ma pur sempre me stesso. Solo che ora comprendo Beatrice. E io quando come Selvaggia Lucarelli, metto su 10 kg in più penso a quelli che mi sono accanto e quando mi guardo allo specchio mi riconosco meglio. Mi guardo con gli occhi miei. Perché spesso quelli degli “altri” fanno male e sono bugiardi.
Quando ne esci alla fine, passi inosservato. La gente si aspetta il crollo, vuole assistere a quello in fondo. Le belle notizie non fanno mai spettacolo. Non c’è una lezione da imparare quando alla fine le cose vanno bene. In vece dagli errori degli altri, si. Chi si toglie la vita fa un errore, dice la gente. Ha mollato. Non si accorge però che la spinta sotto al treno, è anche opera di tutti. Avanti gli ipocriti magri, forza, sedetevi in prima fila. Su il dito. Che nessuno resti indietro. Tu sei grassa, la colpa è tua. Bella roba, bello schifo. Il giudizio intendo. La faccia da culo con la quale si commenta una tragedia, come prima si commentava un disagio. Facile per chi non c’è dentro, facile per chi non lo sa cosa voglia dire la lotta con ilo cibo. Che uno poi si sa, lotta con il cibo per non lottare con le persone. Con quelle non ci si ragiona, il cibo è inerme, si lascia plasmare, mangiare. Le persone cattive invece non si piegano, restano rigide nel loro pensare, nel loro giudicare. Allora perché spendere parole con loro, ci si siede a tavola e si riempie il vuoto fatto di incomprensioni, silenzi, grida, sguardi, critiche e tanto, troppo altro. Non aspettatevi scuse. Dopo aver letto le notizie di cronaca nera, tutti se ne tronano sulla loro strada, ognuno pensa ai fatti propri fino al prossimo giudizio. Hanno bisogno loro di persone in difficoltà per sparare contro il loro arsenale. Poi, la fuga. Non è semplice salire sulla bilancia e dire basta. Non è semplice salire sulla bilancia e dire, va bene così. Non è semplice guardarsi allo specchio. Avvicinarsi talmente tanto da vedere solo il viso, non è una malizia semplice da mettere in atto. Ci vuole tempo. Tanto. Talmente tanto che poi si fa tardi. Posso davvero comprendere come a volte si cerchi di scappare via da tutto. Quindi non giudico. Davanti a quel treno Beatrice c’è arrivata da sola, è vero. Ma la spinta è di tutti.
Franco Quadalti
domenica 8 aprile 2018
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giovedì 29 marzo 2018
Una melanzana per pena [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
Chi non si è mai fermato a raccogliere da un albero una ciliegia per mangiarla, anche se il ciliegio non era suo, alzi la mano. Saltate fuori ipocriti. Fatevi vedere. Nella vita a volte capita di “rubare” qualcosa ad altri. Virgoletto il verbo rubare proprio perché, parliamoci chiaro, di veri furti non si può parlare. Provengo da una famiglia di contadini e ogni anno capita di vedere qualcuno che si ferma sul ciglio della strada, in macchina o in bicicletta e prende un’albicocca o una pesca, oppure un grappolo d’uva e se lo mangia. Diverso chi invece riempie una borsina o addirittura una cassetta. Capita anche di avere fame. In Italia poi questa condizione sta diventando purtroppo una consuetudine. Troppa gente ha fame. Fame di tutto, anche di cibo.
Nel 2009 nel leccese, un uomo di 49 anni era stato sorpreso a “rubare” una melanzana. Una sola. Il suo stato confermato di indigenza lo aveva spinto anche in precedenza a commettere questo gesto non condannabile, se si parla di buon senso o di umanità. Per la legge invece pare che le cose vadano in maniera differente. Pagine di leggi, libri interi, codici. E niente. Nove anni di cause in tribunale. Fingiamo per un attimo che anziché una melanzana, avesse riempito il baule dell’auto e vi dicessi che per uscire da questo calvario, ci sono voluti 9 anni di spese, da parte sua e da parte dello Stato, per concludere la vicenda, già la cosa avrebbe dell’assurdo. Se poi pensiamo che la melanzana era una sola e che per giunta, era stata rubata per fame, l’aggravante è servita. Siamo uno strano paese, fatto di leggi, migliaia, forse di più. A volte addirittura una che dice il contrario dell’altra. Spesso leggi non chiare e quindi discutibili, interpretabili. La giustizia dovrebbe essere fatta anche di uomini. Uomini di legge. Capaci di fare un passo indietro e vedere qualcosa di più ampio che un codice di procedura penale. Alla fine, giustizia è stata fatta. L’uomo dopo 9 anni è stato assolto, ma quanto penare. Quanti soldi buttati, quanto tempo perso. Quanta serenità andata a male e quante occasioni di fare bella figura, buttate al vento. Parliamoci chiaro. In un paese dove capita di sentire che chi commette atrocità, se ne sta dopo pochi anni agli arresti domiciliari, o in libertà vigilata, o ancora peggio, la fa franca, pensare a una melanzana che ti porta via 9 anni di sonno, fa schifo davvero. Ho sempre pensato che rubare un pezzo di pane per fame, per i propri figli, non fosse reato. Ho sempre pensato che al mondo dovesse esserci una giustizia molto più grande di quella che si trova nelle aule di tribunali. Ho sempre pensato male forse. Alla fine il lieto fine certo. Bacchettati dalla corte pure i giudici che l’hanno menata per anni alle spese di questo povero uomo. Però che accade? I giudici alla fine pagano ammenda? Vengono portati loro stessi in tribunale a scontare la pena di aver inflitto dolore e umiliazione a qualcuno? A pagare per aver sperperato inutilmente soldi pubblici per una melanzana? No. Non commento la questione, troppa rabbia. Però davvero, fosse stata presente anche la melanzana in tribunale il giorno finale del processo, e fossero stati presenti anche i giudici che hanno sbagliato, forse mi sarei divertito.
Franco Quadalti.
Gelato al cioccolato [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
Gelato al cioccolato, dolce e un po’ salato, tu gelato al cioccolato. Leggo la notizia e mi scappa da ridere. Penso a Salvini e me lo immagino al bancone di una gelateria mentre chiede un gelato al cioccolato. Che dire, non smetto di ridere. Andava bene anche la nocciola. Il bacio. Insomma, andava bene più o meno tutto. La notizia vera non fa del tutto ridere. C’è da pensarci un po’ su. Ciò che è vero, o sembra vero, è che Salvini ha chiesto un gelato e non gli è stato servito perché la commessa di turno, non serve i razzisti. Continuiamo a restare leggeri ancora per un po’. Non servire un gelato a chi viene tacciato di razzismo, è da considerarsi razzismo? Oppure resta un gesto dovuto. Oppure è qualcosa che non si deve fare e basta? È giusto negare qualcosa a qualcuno accusandolo di qualcosa che noi stessi stiamo facendo? Insomma, non entro nel merito politico, non me ne frega nulla.
Dietro a Salvini come dietro ad ogni politico, c’è un mondo di verità dette come di bugie, di voci amplificate e di frasi taciute, sentite da pochi, ingigantite e gettate in pasto a tutti. Un uomo entra in gelateria, chiede un gelato, e gli viene negato. La vicenda non termina qui. Si narra che la commessa sia stata licenziata, non per il gesto in sé, ma dopo una telefonata di Salvini alla gelateria. La lamentela avrebbe fatto, sempre secondo queste voci, prendere come provvedimento da parte della proprietà della gelateria, un provvedimento molto duro. Licenziamento. Da qui la madre che scrive a Salvini, la gente indignata che scrive alla gelateria, la gelateria che scrive al mondo. Aveva un contratto a termine, è terminato. Fine del lavoro. Così dicono. Sappiamo tutti come gira il mondo. Sappiamo tutti cosa ci accade quando qualcuno di una nazionalità diversa ci guarda male per le strade della nostra città. Sappiamo tutti cosa ci succede quando abbiamo voglia di un gelato. Salvini ora sa anche cosa si prova quando chiede un gelato e glielo negano. Il mondo del web indignato perché se è vero che Salvini ha telefonato alla gelateria, allora è vero anche che una ragazza è senza lavoro a causa sua. Salvini e la gelateria negano questa telefonata. Ma diciamocela tutta, chi non si è mai visto negare qualcosa al ristorante o in un bar, fosse anche solo un semplice buongiorno, e non si è lamentato. Cosa fa scalpore allora? Che nella vicenda ci sia un uomo politico? Che si parli di razzismo? Che il gelato va fatto sempre a tutti? Che non si mischia il lavoro con la vita privata? Che di gelaterie ce ne sono tante per farsi venire il nervoso se non ti servono il tuo gelato? Personalmente mi è capitato che il gelato facesse schifo e lo lasciassi sul bancone dopo appena averlo assaggiato. Mi è anche capitato di ordinare un chilo di gelato e di sentirmi chiedere dalla commessa “lo mangi subito?”. Ho risposto “ma certo, volevo appunto chiederti un cucchiaio!” Lasciate perdere il razzismo dove non c’è e telefonate con lamentele fatte o non fatte. Salvini è una persona che conoscono tutti. Ora conosceranno in tanti anche la gelateria, la commessa licenziata e il gelato al cioccolato. Scherzo, guai a nominarlo che poi c’è chi ci resta male. Mi è venuta voglia di gelato, spero me lo servano anche se sono un po’ stronzo. Che poi mi tocca chiamare il titolare e dirgli la verità.
Franco Quadalti
23 anni e paralizzata [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
Il fatto che ormai nulla mi stupisce più leggendo i giornali, inizia a preoccuparmi. Se mentre fino a poco tempo fa, in ogni pagina, la mia espressione passava da preoccupata, a spaventata a inorridita, oggi credo la rassegnazione abbia ormai preso il sopravvento. È davvero difficile immaginare ormai un mondo di belle cose. Oh, c’è chi ci prova sia chiaro a fare del bene, ma credo che lo faccia con gli occhi chiusi, come quando da ragazzino, davanti ad un ostacolo, con il motorino si chiudeva gli occhi e si dava gas, sperando che tutto andasse bene. Ormai una notizia come tante. Violenza, il titolo. Violenza, lo svolgimento di un tema ormai troppo noto per fare notizia. Eppure si deve, non tanto per dovere di cronaca, ma perché vomitando fuori quello che accade, forse un giorno, la malattia passerà. Arrestato nel fiorentino un quarantatreenne nigeriano, Daniel Chukwuka.
Arrestato dopo che il 26 luglio, aveva gettato una giovane di 23 anni dalla finestra. Non so nemmeno dire se il fatto che l’abbia gettata dalla finestra a abbia a che vedere con il fatto che lei si era rifiutata di fare sesso con lui. Ormai che senso ha il motivo. Sta tutto nel gesto. Alla fine di quel volo lei resta in coma. Alla fine di quel volo, resta sulla sedia a rotelle e ci resterà per tutta la vita. Che senso ha ora dire il perché. Un gesto di rabbia, dice lui, per essere stato rifiutato. Il no fa male a tanti. Ma la reazione ad un no, cambia di animo in animo. Cambia da persona a persona. Qui non si vuole nemmeno discutere sul colore della pelle, sulla nazionalità, sulla religione. Qui non esiste nulla se non la razza peggiore tra gli animali che entra in scena per il suo spettacolo maestro. Violenza. Nel caso specifico, violenza su una donna. Femminicidio. Nel tempo in cui la ragazza è stata in coma, gli inquirenti avevano preso come plausibile la prima versione del nigeriano, secondo la quale, la ragazza si era gettata da sola dalla finestra. Piuttosto morire, piuttosto rischiare di morire che schiava di qualcuno o di qualcosa. Talmente tanto comprensibile questo gesto, che davvero sarebbe potuto accadere. Invece il peggio del peggio deve ancora accadere. La ragazza si sveglia e racconta. Non si è buttata. Non è caduta per disgrazia. È stata gettata giù dal suo mostro. Mi piace pensare che in un mondo parallelo, chi compie gesti del genere paghi fin da subito. Mi piace pensare che la Divina Commedia di Dante, non sia solo un libro ma l’espressione reale di questo mondo parallelo. Mi piace pensare che sia tutto finto. Tutta una bugia. Invece no. Mi piace pensare che per che per chi ti toglie la libertà, ci sia qualcuno o qualcosa che ti renda il favore. La legge? Sorrido. Anzi, rido proprio. Sui giornali la notizia di arresto. Non so poi dove andremo a trovare quella in cui, tra un tempo troppo corto, ce lo ritroveremo in giro per la strada, sotto falso nome, sotto falsi occhi, sotto mentite spoglie di un uomo per bene. Non so cosa mi spaventi di più di tutta questa storia. Il prima o il dopo. Quando accadono queste cose, mi si toglie la voglia di raccontare. L’ennesima storia di violenza in cui a pagare è una donna.Un prezzo troppo caro per un no. Un prezzo diviso e condiviso tra troppe donne, che però non diminuisce mai. Fatela finita. Aprite la finestra e buttatevi. Siete bestie, imparate a volare o estinguetevi.
Franco Quadalti
Una diversità fatta di niente [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
Onestamente non so dire sotto cosa archiviare questa che ormai sembrerebbe essere una triste consuetudine del nostro tempo. Razzismo, bullismo, non lo so davvero. Il dispiacere più grande, al di là della morte di una ragazza, è appunto il fatto che ormai le pagine di cronaca sono piene di queste maledette storie. Storie che devastano famiglie. Botte, calci e pugni per quelle che pare essere la direzione che sta prendendo la nostra società. Miriam Moustafa, era in autobus in compagnia di un suo amico quando, il 20 febbraio scorso, è stata picchiata da un gruppo di coetanee. Aveva appena ricevuto la notizia di essere stata ammessa all’università. Aveva scelto ingegneria per il trampolino di lancio del suo futuro. Un futuro che è stato cancellato da quell’ultimo viaggio in autobus.
Di origini egiziane ma nata e cresciuta a Olbia, Miriam aveva già sbattuto contro l’ignoranza e la violenza del suo tempo. Altri episodi di cattiveria l’avevano vista protagonista in passato. Un paio di ragazze del
“commando” che le ha spezzato la vita infatti, si erano accanite su di lei già una volta, e forse più. Difesa invano dall’amico e dal conducente dell’autobus, era stata trasportata in ospedale e poco dopo dimessa troppo frettolosamente. Caduta in coma per le gravi ferite riportate, dopo tre settimane ha trovato la fine. Questa è la triste cronaca dell’accaduto. Una cronaca fredda come il cuore delle persone che le hanno chiuso gli occhi per sempre. Ditemelo voi il perché. Di bullismo se ne hanno piene le tasche, di razzismo pure. Fa schifo definire tutto questo come una costante del nostro tempo. La morte di qualcuno come cartolina del nostro mondo. Si cercano tutti i colpevoli, come sempre. Si cerca il movente. Si cercano tutti i perché. Si scava nella merda e nell’orrore per poter dormire sonni tranquilli. Trovato il mostro, la paura passa. Poi l’attesa sempre più breve che conduce al disastro successivo. Sono stanco. Serve pulizia. Serve pace. Si devono lasciare andare i luoghi comuni secondo i quali ci deve essere un perché a tutto questo. L’unica cosa che è chiara è che l’essere umano fa schifo. Va riprogrammato. Va ripulito da dentro. Idee, pensieri. Sciogliere catene e costumi. Religioni, politiche, usanze. Occorre tornare tutti uguali. Occorre tornare indietro a quando non c’era nulla che ci distinguesse uno dall’altro. Occorre resettare. Ma si può tutto questo? Dicono che ogni cosa, raggiunto il proprio apice, crolla e dopo il silenzio, si può ricostruire. Stiamo crollando, andando a fondo, morendo. Aspettiamo il silenzio della fine ormai. È come se attendessimo di finire il male che c’è. Come se stessimo raschiando il barile della violenza come unica risorsa. Poi, potremo rinascere. A noi tocca tenere duro e aspettare. Non so se sperare che tutto ciò duri ancora molto o che domani finisca tutto. Allora facciamo del proprio meglio, per non finire tra i colpevoli, anche se alla fine ci siamo dentro tutti. Io che scrivo, tu le leggi. E intanto la gente muore per una diversità che non esiste.
Franco Quadalti.
domenica 18 marzo 2018
Il pretesto della pazzia [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
Finchè la donna non ha iniziato a poter esprimere sé stessa liberamente, è sempre stata considerata poco. Quasi un oggetto. Come tale, l’uomo si sentiva in diritto di metterla a tacere o vietarne la libertà anche solo con subdoli comportamenti. Niente voto, niente opinioni da poter esprimere. Una voce che trovava spazio solo dentro le mura di casa, libera poi solo in assenza del “padrone”. Poi le cose sono cambiate, ma per un tempo infinitamente lungo, sono rimaste nell’ombra. Le donne e i propri diritti. Le donne e la propria libertà. C’era anche di peggio del silenzio obbligato. C’erano violenze piscologiche, fisiche. Per tante c’è stato anche il manicomio. Annacarla Valeriano, che ha passato in esame le cartelle cliniche delle ricoverate nel manicomio Sant’Antonio Abate di Teramo, a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento fino al 1950.
Ha studiato Storia contemporanea all’Università di Teramo. Lavora presso l’Archivio della memoria abruzzese della Fondazione Università di Teramo. Con Donzelli ha pubblicato Ammalò di testa. Storie dal manicomio di Teramo. È andata a scavare dietro le mura di luoghi molto bui, dove la verità veniva seppellita con le sue donne. A volte era la guerra a trascinare la donna nello sconforto. La partenza del proprio uomo per il fronte, la paura, la fame, i figli. A volte era una sessualità pronunciata, fuori da quelle rigide regole di una società retrograda e maschilista. Sessista. A volte era un carattere forte, non disposto a piegarsi alla volontà di un uomo padrone, violento nelle mani e nella testa. A volte era frutto di un piano per togliere libertà senza un perché. Una prigione dalla quale non c’era ritorno. Una prigione dove diventavi colpevole anche se non lo eri stato entrandoci. Una pena detentiva forzata, ingiusta, ben lontana da quel requisito onesto e cautelativo, anche protettivo nei confronti di chi davvero non poteva farcela da solo. Poi si potrebbe anche aprire un capitolo immenso sul valore di questo modo di proteggere. Insomma, una prigione di massima sicurezza per chi non doveva esserci, per chi non doveva parlare, mostrarsi, pensare. Guardo alcune foto del libro di Annacarla Valeriano e leggo negli occhi di alcune donne la sconfitta. L’abbandono. Ma una luce che dice “questo non è il mio posto”. Donne che hanno perso una battaglia più grande di loro. Una guerra vinta molti anni dopo, non andrà mai a restituire ciò che è stato ingiustamente tolto. Oggi le donne si sono riappropriate di tutto. Anche del potere di restituire il male fatto. Anche il potere di farlo, gratuitamente. Nell’essere state riportate al giusto stato di parità, hanno attinto da questa parità tutto. Ora davvero non c’è differenza tra uomo e donna. Ma è passato ancora troppo poco tempo da quando si chiudevano le porte di una stanza silenziosa ed eterna, per dimenticare il male che l’uomo ha fatto alla donna. Non c’è modo di recuperare. C’è solo da ricordare.
Franco Quadalti
martedì 13 marzo 2018
Riassunto Samuelson [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI ECONOMIA]
La seconda metà del 900 ha visto una crescita praticamente ininterrotta del tenore di vita e la diffusione del libero mercato, della democrazia e delle libertà personali in molte aree del mondo
Esiste una crescente preoccupazione per i problemi ambientali internazionali
Importanza della globalizzazione, che riguarda la crescente integrazione economica di diversi Paesi
1. LE BASI DELL’ECONOMIA.
L’economia è lo studio del modo in cui le società utilizzano risorse scarse per produrre beni utili, e di come tali beni vengono distribuiti tra i diversi soggetti
- le risorse sono scarse (i beni sono limitati rispetto ai desideri)
- la società deve utilizzare tali risorse in modo efficiente (miglior utilizzo possibile delle risorse economiche al fine di soddisfare i bisogni e i desideri degli individui)
Un sistema economico produce in modo efficiente quando non è in grado di migliorare le condizioni economiche di un individuo senza peggiorare quelle di un altro
Microeconomia: branca dell’economia che si occupa del comportamento di singole entità, quali i mercati, le imprese e le famiglie (fondatore: Smith)
Macroeconomia: branca dell’economia che si occupa dell’andamento complessivo di un sistema economico (anni 30, fondatore: Keynes)
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Riassunto Samuelson
Società cultura educazione [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI GIURISPRUDENZA]
La sociologia dell‟educazione oggi è considerata una branca specialistica della sociologia generale, concentra i suoi studi sulle istituzioni e sui processi formativi ed educativi; affronta lo studio dell‟educazione secondo un punto di vista sociologico.
Dopo un lungo processo di definizione del proprio statuto disciplinare che si potuti arrivare a considerare la sociologia dell‟educazione come tale; discipline come la pedagogia e la psicologia(occupandosi a loro volta di questioni educative) ,ne hanno rallentato lo sviluppo .
Secondo Gallino non deve stupire che un sociologo si occupi di questioni educative e psicologiche. Per comprendere la dinamica della società si devono prendere in esame il sistema delle relazioni sociali, l‟insieme della cultura e i tipi di persone che incorporano quella cultura e danno vita al sistema di relazioni.
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Tesina Carl Schmitt [DOWNLOAD TESI DI LAUREA DI GIURISPRUDENZA GRATIS]
Tra i pensatori sostenitori del regime nazista, instaurato nel 1933, uno dei più importanti fu Carl Schmitt (1888-1985), teorico della politica e del diritto. Nato da famiglia cattolica in Renania, compiuti gli studi di legge, insegnò dopo la guerra nelle università di Greifswald e Bonn e nel 1928 ottenne la cattedra di Diritto nella scuola di specializzazione in amministrazione commerciale di Berlino, dove strinse amicizia con Jünger; nel 1933 si iscrisse al Partito nazionalsocialista, fu nominato consigliere di Stato prussiano e ottenne la cattedra di Diritto pubblico a Berlino. Dopo il massacro delle SA del 1934, egli si tenne un po' in disparte dal regime, in quanto il gruppo che faceva capo a Rosemberg non approvava il primato da lui accordato allo Stato rispetto al popolo e al partito. Egli difese, però, le leggi che nel 1935 sopprimevano i diritti civili degli ebrei e accentuò il suo antisemitismo, così come in seguito giustificherà e glorificherà la guerra e le vittorie di Hitler.
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Wondy [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
Alessandro è un giornalista italiano. Francesca, era una scrittrice, giornalista, blogger. Si erano conosciuti sul lavoro come milioni di altre coppie. Le prime uscite, la scoperta da parte di Alessandro di essere “la quarta scelta” per Francesca. Un po’ come dire “sei rimasto tu, vediamo come va”. Poi da cosa nasce cosa, e spesso nasce bella. Lo stesso mondo da condividere, le stesse passioni, due figli insieme. Amore che nasce e cresce, coltivato, condiviso, messo a nudo. Poi la vita sbatte contro la vita stessa e cambia strada. A volte maledettamente lo fa e non sai mai dove andrai a finire. A volte la vita sceglie la coppia, a volte uno solo dei due, poi si sa, ciò che accada a uno, cambia anche l’altro. Francesca si ammala di tumore. Qui si potrebbero scrivere pagine e pagine, sul dove, sul quando, sul perché. Non serve a nessuno. Succede e si va fino in fondo.
Dopo la notizia, la strada diventa polverosa e dissestata, incerta. Poi crolla e Francesca cade. Che te ne fai di una spiegazione sul perché possa succedere? Ne ho sentiti tanti di ”perché io?”. La vita sa dire “e perché no?”. Non ci sono perché, e se ci fossero, a chi interessano veramente. Ti tolgono tempo, energie, forse ti tolgono anche la forza di continuare a camminare. Quando Francesca è entrata in questo sentiero, Alessandro è rimasto lì con lei a sporcarsi le scarpe e le mani. L’ha accompagnata fino in fondo, poi l’ha persa per sempre. È morta. Certo, si era capito, ma le parole usate sono quelle giuste, è morta. Inutile arricchire o abbellire questo fatto. Nessuno ha lasciato nessuno, nessuno se ne è andato, nessuno ha ceduto o abbandonato. È morta. Fine. Per Alessandro non è finito nulla però. Vede gli occhi di Francesca negli occhi dei due figli, forse anche nei gesti, forse guarda gli oggetti lasciati lì, per casa e si ricorda, la sente, la vive ancora. Ma è morta. Allora decide di scrivere, di lei, di Wondy come era chiamata. Nessuna storia a lieto fine. Non cerca di far vivere ancora Francesca, non cerca di salvarla nel libro. La racconta, semplicemente. Dice a tutti chi era lei, chi era lui. Dice a tutti chi erano insieme. Quell’insieme che non torna, non può tornare nemmeno se Alessandro profuma di lei le pagine del libro. Non torna nemmeno se in ogni pagina c’è la sua vita. Non si torna da lì. Quello è un viaggio di sola andata. Chi va per primo, poi, dicono, si salva per sempre e aspetta gli altri. Mi è sempre piaciuto nelle persone il dire le cose come stanno.
Semplicemente un libro. “Mi vivi dentro”, il suo titolo. Parole scritte che restano negli occhi prima ancora di arrivare nel cuore. Un luogo. Come se Francesca avesse solo cambiato forma, per entrare dentro ad Alessandro, un posto più caldo della vita stessa. Lei è morta. E questo non cambia, non cambierà, ma Alessandro ci racconta che sa dove andare quando le manca fino a fare male. Forse chiudi gli occhi e la vede. Chi legge il libro, mentre lo fa, la sente. Alessandro ha voluto questo, che tutti lo sapessero. Che nulla andasse perduto per nessuno. Francesca è morta. Ma solo per tutti gli altri.
Lei è Francesca Del Rosso. Lui, Alessandro Milan. Mi vivi dentro, le sta dicendo. E lei ascolta.
Franco Quadalti
martedì 20 febbraio 2018
La vita a 80 [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
Non sono mai stati i numeri a dire chi sono. Non sono mai stato il voto in Diritto (fortunatamente) o il voto in matematica dove mi bastava poco per arrivare all’eccellenza. Non Sono mai stato il 5 in disegno tecnico il primo quadrimestre delle scuole superiori e nemmeno la lode al corso di psicologia l’ultimo anno. Non sono mai stato il numero dei gol subiti in 25 anni di carriera amatoriale come portiere nelle squadre di calcio. Non sono mai stato nemmeno l’anno della mia nascita o il numero del giorno di giugno in cui sono nato. Non apparteniamo ai numeri. Non siamo loro. Siamo stati, siamo e saremo sempre, l’impegno che mettiamo in quello che facciamo. Questo è ciò che insegno e che continuerò ad insegnare ai miei figli. Siamo la dedizione ai sogni e agli impegni presi. La costanza nel perseguire gli obiettivi prefissati. Siamo l’amore e l’ardore che mettiamo in tutto ciò che facciamo. Dal preparare un panino, al consegnare un progetto di lavoro, al proteggere le persone che amiamo. Ogni tanto ci si ferma in questo percorso. Ogni tanto ci si blocca. Ogni tanto non si parte neppure. Poi un giorno, se si ha la fortuna di farci caso, si comprende che non è troppo tardi per ricominciare. Miguel Castillo ha tre figli, sei nipoti e un bypass quadruplo.
Studia Storia all'Università di Valencia, dove si è iscritto dopo essere sopravvissuto a un attacco di cuore. Ora ha deciso che partirà per l'Erasmus. Destinazione: Verona. Miguel è un uomo fortunato. Molto. Per lui la vita ha scelto di dare una seconda possibilità, e non per continuare a fare ciò che faceva prima. No. Una seconda possibilità per ripartire per quel viaggio che è la vita. Incamminarsi di nuovo senza aspettare che cali la notte. La vita gli ha detto che quando morirà, dovrà farlo da vivo. Una strana frase per alcuni. Molto chiara per altri. Chi di voi sta vivendo? Se moriste domani, avreste vissuto? O sareste esistiti solamente? Andarsene con gli occhi aperti. Questo è il focus del viaggio. Occhi aperti, avendo visto. Avendo scelto. Miguel ha ripreso gli studi. Ha deciso di laurearsi. Ha scelto una bellissima città italiana, Verona. Non una città a caso. Gli ricorda un pezzo di strada già fatta poi abbandonata. Era con la moglie, ad un concerto di Maria Callas. Forse lo aveva dimenticato quel concerto, quella città. Si era fermato al giorno dopo e si era addormentato. Il cuore, il suo motore fisico e non solo, gli ha fatto ricordare la passione, il fuoco, la vita. Ci sia accorge sempre troppo tardi delle cose che perdiamo. Sempre l’attimo dopo. Sempre troppo tardi. E così, Miguel, Quando un professore l’ha incoraggiato a partecipare al bando Erasmus, non se l’è fatto ripetere due volte. Tra i banchi di scuola può fare scuola. Oltre ai professori, in aula, ci sarà qualcosa da imparare anche da lui, anche solo guardandolo, anche solo accorgendosi che c’è. Fantastica la vita. Chiaro eh, vedendolo, una battuta mi scapperebbe, anche due. Una risata senza farmi sentire. Però alla fine, fidatevi, ha ragione lui. Non so se all’Università ci si alzi in piedi all’arrivo del professore, io all’Università non ci sono nemmeno andato, però c’è da chiedersi che non sia del caso di alzarsi in piedi quando entra lui. Per dire grazie dell’esempio, che di gente che ti racconta favole senza fare un passo, al mondo ormai ce ne sono fin troppe. Bravo Miguel. 30 e lode.
Franco Quadalti
Nessuno è al sicuro [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
Anche Médecins sans frontières, l'organizzazione umanitaria internazionale, ha ammesso che al suo interno sono stati registrati diversi casi di molestie o abusi sessuali nel 2017. La notizia non mi fa saltare sulla sedia. Intendiamoci, parliamo di un fatto gravissimo. Ciò che mi sorprende è che faccia notizia il fatto che ci sia una netta contrapposizione tra la violenza e la missione che queste persone sono chiamate a svolgere. La parola chiave è “persone”. L’essere umano è ormai da sempre ritenuto l’animale più pericoloso. Infatti caccia le sue prede non solo per fame ma anche e spesso per disprezzo, per noia, per cattiveria, per sfregio. Dove ci sono le persone, ci sono animali capaci potenzialmente di tutto. Non importa che maglietta o che bandiera portino in giro per il mondo. Se è vero che l’abito non fa il monaco, non esiste nessun vessillo sotto al quale qualcuno è innocente a priori. Non vedo perché questa notizia quindi desti tutto questo scalpore. L’ennesimo caso di barbarie nei confronti dell’umanità. Poco importa per cosa ci si batta. L’uomo, la donna al tuo fianco, tu stesso, potresti essere il prossimo mostro. Oltre che chiaramente, la prossima vittima. È una dichiarazione forte, questo sì. I casi denunciati solo nel 2017 arrivano a 24. La dichiarazione dell'organizzazione umanitaria segue lo scandalo che ha travolto Oxfam, l'ong accusata di aver insabbiato festini a luci rosse e casi di abusi sessuali compiuti da suoi operatori in missioni all'estero. Insomma, una gara a uniformarsi al peggio che deve necessariamente spaventare. L’impegno delle organizzazioni coinvolte nello scandalo, chiaramente lascia intendere che si batterà per combattere gli abusi e porre fine a questo “massacro”. Si passa quindi dalla strada, in una casa qualsiasi, in un villaggio passando dentro a una
Chiesa, in un asilo come in un ospedale. Chi può dirsi al sicuro da tutto questo? Chi può venire a definire “sacro” un luogo piuttosto che un latro? Non si salva nessuno, non c’è un “tana per me” che possa allontanare dal pericolo. Leggendo queste notizie, con questi titoloni, viene da pensare di essere sempre dall’altra parte del problema, semplici spettatori. Non è così. La casa del vicino è sempre troppo lontana per venire a sapere tutto. In fondo “Médecins sans frontières” sono semplicemente tre parole. Poi ci sono i fatti. Tanti pieni di lode sia chiaro. Non tutti. Non sempre. Mi spiace che non faccia notizia per ciò che riguarda me. Forse ho perso l’illusione anche che qualcosa possa cambiare. Per farlo devono cambiare le persone. Ma queste, non cambiano mai. Non cambiano le piccole, cattive abitudini. Difficilmente si arriverà a sconfiggere i mostri. Si è sempre un po’ troppo codardi anche verso sé stessi. Ci si fa del male permettendoci di rimanere così. Immobili. Mai un passo davanti al problema. Allora, ognuno salvi sé stesso? Per ora che dire, il mondo funziona così. Non c’è una squadra vincente. Abbiamo perso in termini di umanità. Da quando abbiamo iniziato a muoverci su due gambe, abbiamo iniziato a guardare troppo dall’alto anche la dignità delle persone. Talmente in alto che la calpestiamo ogni giorno. Per tirarsi fuori da tutto questo, per ora si può spegnere la Tv, si può non comprare il giornale, non aprire Internet. Insomma, ci si può tappare gli occhi con le mani. E chi le ha sporche, attenzione, poi si vede.
Franco Quadalti.
La patria dell'insulto [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
A Milano, in corso di Porta Ticinese, è stata fatta una cazzata. Hai presente quando senti dire da qualcuno “eh va beh, è una bravata” oppure “dai, l’ho fatto con leggerezza”. Ecco, a volte da una leggerezza, da qualcosa fatta così, per fare, nasce una porcheria colossale destinata a rimanere sotto pelle di chi la subisce. A Milano, in corso di Porta Ticinese, quello che da noi si chiama “coglione”, ha disegnato una pistola su un muro. E non l’ha disegnata a caso. L’ha messa in mano a Falcone. La classica quanto nella foto di Falcone assieme a Borsellino, diventato murales. Una pistola è stata disegnata tra le mani di Falcone, puntata sulla testa di Borsellino. Ma dai, fatti una risata!
No, non c’è nulla da ridere. Come detto, da una leggerezza nasce un dramma. Può nascere un grosso problema. Una foto diventata un simbolo, divenuta murales grazie a un’artista siciliano, Tunus, ora si è trasformata in uno scempio. Già ci si è mossi per sistemare la cosa. Ma ora è li. Immobile davanti agli occhi dei passanti, dei lettori. È li a testimoniare l’indecenza e la pena. Basta davvero poco a trasformare una cosa bella in uno scempio. Basta la stupidità. Un attimo di leggerezza. Immagino anche la risata dell’ “artista”. Che bravo sono stato, si sarà detto da solo. Si, perché non ci vedo nulla di organizzato, di premeditato, di predestinato. In un angolo d’Italia dipinto di ricordo e di speranza ora si vede solo una pistola e pure fatta male. Le persone fanno così, lanciano il sasso e nascondono la mano. Fanno così i vigliacchi. Solo una stupida pistola fatta male poteva disegnare questo bifolco. Solo una leggerezza cosi poteva sporcare un simbolo. Perché le cose grosse non le abbatti, le puoi solo sporcare. Stupidamente. Con leggerezza. Con vigliaccheria.
Con l’umana credenza che si possa sempre fare tutto restando per sempre impuniti.
Franco Quadalti
sabato 10 febbraio 2018
Violenza in ambito domestico [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI GIURISPRUDENZA]
Il mobbing, da fenomeno prettamente mediatico di importazione anglosassone, nell'ultimo decennio, è entrato nelle aule dei tribunali. Ha contribuito così alla rivoluzione dogmatica che ha smantellato la dicotomia danno patrimoniale/danno morale e che riconosce concretamente risarcibili i pregiudizi patiti per la violazione dei diritti fondamentali della persona, costituzionalmente garantiti. In una prima fase però, il mobbing si è fissato nell'ambito giuslavoristico, faticando non poco a trovare spazio anche all'interno della famiglia, considerata «un'isola felice appena lambita dal mare del diritto». A cavallo tra vecchio e nuovo secolo, il muro di impermeabilità ha mostrato alcune crepe sino a crollare definitivamente con l'introduzione dell'illecito endofamiliare, cioè quello perpetrato verso uno dei membri del consorzio affettivo. Le definizioni - Interpreti e giudici hanno cominciato a parlare di «mobbing familiare» per descrivere l'insieme di atti od omissioni, di un coniuge verso l'altro, caratterizzati da intento denigratorio o persecutorio e finalizzati alla sistematica distruzione della personalità altrui. Atti od omissioni che, seppur singolarmente presi, non hanno carattere di illecito, nel loro insieme sono diretti a limitare o a ledere la libertà dell'altro. Si è data valenza dunque, non solo alle manifestazioni eclatanti di violenza fisica o morale - le classiche botte, ma anche urla, strattonamenti della vittima, distruzione di oggetti, ossia atti che provocano ansia e generano nella vittima un senso di angoscia - ma anche e soprattutto alle forme meno riconoscibili, e non per questo meno insidiose o lesive, di violenza psicologica, morale o crudeltà.
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Violenza in ambito domestico
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