venerdì 26 gennaio 2018
Il giorno della memoria [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
Il titolo dice tutto. Basterebbe questo. Non è una frase che può essere fraintesa. Non è un nome che ti potrebbe ricordare almeno tre persone che conosci. È più come il titolo di una canzone. Tu leggi “Imagine” e ti viene in mente John Lennon. Tutto qui. Non c’è altro da dire. Il 27 gennaio si è celebrata una ricorrenza internazionale per commemorare le vittime dell'Olocausto. È stata così designato dalla risoluzione 60/7 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005, durante la 42ª riunione plenaria. Non è una cosa da poco. Proprio per nulla. Per dire qualcosa di più, in terza media come esame di fine anno, ho portato la seconda guerra mondiale. Ho passato diverse settimane a leggere e documentarmi su quel pezzo di vita, o meglio, su quel tratto di morte. Come detto, leggi “Imagine” e inizi a canticchiare la canzone, così, in automatico.
Allo stesso modo, leggi sul web “oggi è il giorno della memoria” e posti il cancello del campo di concentramento più famoso del mondo, quello di Auschwitz, su tutti i social ai quali sei iscritto. Certo. È così che si fa. Fino al giorno prima leggi commenti improponibili a domande insensate. Dribbli foto e selfie di dubbio gusto, scansi barzellette alle quali non rideresti nemmeno sotto tortura. Poi, come d’incanto, arriva il 27 gennaio e boom. Tutti di colpo sanno di Auschwitz. Tutti piangono. Tutti sono sconvolti dalla tragedia. Se fai loro una domanda ti sanno pure rispondere sulla questione, sempre che il Wi-fi funzioni correttamente. L’ipocrisia credo sia tra le dieci piaghe del mondo. Forse anche tra le prime cinque. Sono alterato, è vero. Forse perché ci ho studiato sopra, ho letto, mi sono documentato. Ho parlato con persone che ci sono state, in quel tempo. Non ho pianto, ma ho riflettuto. E lo faccio anche adesso. Potrei anche aprire una parentesi e ricordare al popolo del web che spesso si ricorda il campo di concentramento di Auschwitz ma non si nomina mai quello di sterminio di Birkenau. In quel campo hanno perso la vita più di un milione di persone. Però non fa notizia. È così bello il cancello di Auschwitz. Vuoi mettere? Il paragone non regge. Poi con quella scritta sopra “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi. Viene da sorridere. Purtroppo. La gente non le sa queste cose. Esce di casa e pensa al proprio orticello. Saluta a malapena le persone. Stringe amicizie inutili per poi trattare male le persone vicine. Si lava la faccia al mattino per mettersi la maschera e quando arriva il 27 gennaio, parla. Non lo so che sta succedendo alle persone. A volte credo che sarebbe meglio che quella data fosse una cosa per pochi. Mi escludo eh sia chiaro. Dio non voglia che qualcuno pensi che mi merito di poterne parlare. Per pochi, per quelli giusti. Ecco, la parola perfetta. Per i giusti. Quelli che sanno che significa la sofferenza e proprio per questo, non ne parlano. La comunicano con gli occhi, il 26 gennaio come il 27, o il 28, di ogni mese e non solo gennaio. Dai ragazzi, è un cancello. È un simbolo di un luogo che non esiste più. È un fiore lasciato dove si sono spente delle vite, tante. Un fiore troppo in vista. Un luogo si da custodire, ma allo stesso modo, un luogo da tenere lontano dagli occhi. Non è vedendo le baracche di quel campo che si pensa a chi ci ha passato gli ultimi giorni. Il rispetto per i morti, lo si porta tendendo la mano ai vivi. Ricordando che chi non c’è più, ha smesso di soffrire. Chi è ancora qui, invece, aspetta un giusto che dica una parola buona. Lasciate stare i cancelli.
Quando decidete di ricordare la Shoah, fatelo in silenzio. Abbracciate qualcuno senza farne pubblicità.
Siate giusti.
Franco Quadalti.
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