sabato 20 gennaio 2018
La guerra in uno scatto [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
Se alla fine della mia vita, riuscirò ad insegnare un terzo di ciò che i miei figli ogni giorno sanno insegnare a me, potrò dire di essere stato un buon padre per loro. I bambini vedono cose e sanno cose che gli adulti hanno dimenticato. Il coraggio per dirne una. La determinazione, l’orgoglio, quello buono, la tenerezza e l’amore. Eppure tutti siamo passati da lì. Tutti, una volta, lo siamo stati. Bambini. Chi più e chi meno ha vissuto l’infanzia nel modo in cui doveva, in cui poteva. Poi la vita ti cambia. Una mattina ti svegli e ti sei dimenticato di essere un bambino e diventi qualcos’altro. Spesso un adulto, difficilmente un uomo o una donna in quanto persone vere. Spesso diventiamo quello che abbiamo potuto, non quello che dovremmo. Ci sono bambini che hanno visto giocattoli, amici, la scuola. Ci sono bambini che hanno visto assenze, deliri.
Altri, tanti, troppi, hanno visto la guerra. La guerra c’è sempre, ovunque. Aprire un libro di storia e leggere della seconda guerra mondiale fa pensare a una vita fa. Fa quasi credere che la fine di quella guerra abbia sancito la pace in tutto il mondo. Invece no. Di quella guerra è stato scritto di tutto. A volte ci sono pagine con piccole storie di grandi imprese. Altre facce di una medaglia troppo pesante. Troppo costosa, ingombrante. Una guerra che finisce con una bomba atomica. Un “basta così” che si trascina da allora nei ricordi della gente. C’è una foto di due bambini, una foto del 1945, scattata dal fotografo Joe O'Donnell. Una foto chiaramente in bianco e nero, sbiadita. Di nitido non c’è neppure il significato a prima vista. Due bambini. Due fratelli. Uno stretto in una fascia, sulla schiena dell’altro, il maggiore che pare avere una decina d’anni. Impettito il ragazzino, lo sguardo duro. Il fratello minore sembra dormire. La testa piegata su un fianco come ho visto fare anche da mio figlio ai tempi in cui lo facevo addormentare in fascia mentre giravo per il centro commerciale guardando le vetrine dei negozi. Qui non ci sono negozi, non ci sono vetrine. Non c’è un padre che addormenta un figlio. C’è l’epilogo di una guerra con cui fare i conti. Il bambino non sta dormendo. È morto. La guerra l’ha portato via. L’ha ucciso e insieme a lui ha ucciso anche il bambino che albergava dentro al fratello che con una dignità più potente di quella bomba che ha messo fine a tutto, lo sta portando a cremare. Leggo da un’intervista al fotografo, che il bambino non ha detto una parola. Uno sguardo fisso. Come a cercare una via d’uscita. Come a cercare un punto lontanissimo da lì. Perché “lì” c’è la guerra, c’è il fratello senza vita, c’è lui da bambino a fare cose che nemmeno un adulto dovrebbe mai fare. Cresci con uno schiaffo. La vita è un gioco davvero strano. Assurdo. Ti dici che non può essere tutto li. Nella fame, nella devastazione. Rischi di spegnerti da un momento all’altro e spesso per scelte altrui. Eppure continui. Non si può guardare una foto del genere e non sentire dolore. Non si può vedere quella foto e non pensare che ancora oggi, nel 2018, quella foto accade. Accade quel dramma, in tante parti del mondo. Non so che fine abbia fatto quel bambino. Dieci anni allora, più di una settantina adesso dovesse essere ancora vivo. E se non dovesse esserlo, se ne sarebbe andata con lui quella sofferenza. Si morde un labbro mentre le fiamme portano via il corpo del fratello. Sanguinano. E l’anima ancora di più. Muoiono entrambi in quella guerra. Muoiono entrambi i bambini. Uno diventa un uomo forse. O un testimone di un delitto atroce. O non so cosa. So che i due fratelli quel giorno se ne sono andati entrambi, altrove, in una foto a colori dove continuano a giocare come il mondo fosse un luogo di pace.
Franco Quadalti
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