sabato 27 gennaio 2018
Un quarto d'ora per il caffè [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
Ricordo da bambino di aver preso coscienza molto presto della presenza sulla terra, di esseri umani con la pelle diversa dalla mia. Un colore diverso. Credevo fosse marrone scuro. Ce n’era uno simpaticissimo che guidava una macchina color verde petrolio. Arrivava a casa di mio padre a tutta birra con il baule pieno di calzini di ogni colore e taglia. Scendeva, chiedeva un bicchiere d’acqua, e per più volte ricordo di averlo visto dare una mano a mio padre. Un sorriso grande, denti bianchissimi. Mio padre e mia madre spesso per ringraziarlo della cordialità acquistavano qualcosa e lui andava via felice. Questo sorriso unito alla gentilezza sua e dei miei genitori, hanno annaffiato il seme dell’accoglienza. Il frutto del razzismo e della paura in me non è mai nato. Non sono mai esistiti per me gialli, neri, bianchi. C’erano e ci sono persone. Le differenze più che nel colore, le ho sempre trovate nel sorriso. Vero, finto, forzato, maligno, genuino.
Tutt’ora nella scuola di mia figlia, c’è un bambino di colore. Suo padre fa l’ingegnere e parla correttamente 3 lingue più la sua d’origine. Voglio dire, per furbo quale sono, so quasi tutto dell’italiano e quasi nulla dell’inglese. Però per la stragrande maggioranza della gente, io sono in gamba e lui è un negro. Ricordo di una signora che venne a casa mia e per casualità arrivò il ragazzo dalla macchina verde. La sua semplicità lo portò a stringere la mano alla signora che ricordo molto bene, si guardò subito il palmo della mano per vedere se era rimasta tinta di marrone. L’ignoranza. Leggo di un medico che lavora alla Guardia medica di Cantù. Un certo Andi Nganso. Un medico di colore. 30 anni, si è fatto le ossa lavorando per la Croce Rossa in diversi centri di accoglienza per migranti, dall’hinterland milanese a Lampedusa, infine a Cantù, nel Comasco, dove da un anno lavora per il servizio di continuità assistenziale. Pochi giorni fa ha avuto un piccolo inconveniente con una paziente. Una signora di una sessantina d’anni, che ha lasciato l’ambulatorio spiegando che non si sarebbe mai fatta toccare “da un medico negro”. Vuoi mai che resti macchiata. Voglio dire, se hai un problema a un occhio e il medico ti tocca, come fai a raccontare in giro che sei stato visitato da un medico di colore e non hai preso un pugno in faccia? Avrei riso tanto da dover essere ricoverato anche io. Solo che io di Andi Nganso non avrei paura. Il suo sorriso mi ricorda quello del ragazzo con la macchina verde. L’ignoranza fa più disastri di un’azione cattiva volontaria a volte. Sparita la signora, Andi ha subito scritto la sua lamentela su un social, andandoci anche non troppo leggero. Ringraziando la signora per avergli regalato un quarto d’ora in più per il caffè, l’ha poi offesa. In fondo voglio dire. Uno a uno. Palla al centro. Si perché nel 2018, mi spiace ma non si può più accettare una situazione del genere. Originario del Camerun e ormai italiano d’adozione, dato che è arrivato qui 12 anni fa per motivi di studio e ora vive a Sesto San Giovanni, stiamo parlando di un medico italiano. E anche se non lo fosse, italiano intendo, resterebbe comunque un medico. La signora non credo avesse avuto un gran bisogno di cure se il colore della pelle di Andi l’ha fatta correre via. Dovrebbe dire grazie anche lei per essersi risparmiata i soldi del Ticket. Dovrebbero ringraziare anche le persone presenti. Una persona in meno, fila più corta, attesa minore. A casa prima. Insomma, per un gesto di maleducazione siamo a dire grazie. Vuoi per simpatia, vuoi perché ci arrabattiamo a giudicare chi riempie i Tg con la cronaca nera, poi siamo li a scappare di fronte a un medico. Ah già, un medico nero. Come l’inchiostro, come la pece, come la notte, come il buio. Come il cuore di chi non ti accetta, di chi non ti vuole. Siamo nel 2018, sveglia. Non ne ho più voglia di questa gente. Voglio tornare bambino. Voglio rivedere quella macchina verde petrolio. Voglio rivedere quel ragazzo sorridente che si era appioppato da solo un improbabile nome italiano. Voglio vedere la stretta di mano tra lui e mio padre. Voglio rivedere nella gente l’amicizia e l’accoglienza. Voglio quello che non esiste probabilmente. E questo mi fa stare male. Andrò al pronto soccorso, sperando di non trovare il fila la signora di Cantù o dovrò andarmene. Io in fila con un razzista non ci voglio stare.
Franco Quadalti
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