giovedì 7 dicembre 2017

Marco Dolfin, chirurgo hi tech [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]


Fin da piccoli siamo stati abituati a sapere che al mondo esistono le persone normali, gli eroi, e anche i supereroi. I primi se ne vanno in giro vestiti comunemente. Li vedi tutti i giorni, li trovi ovunque. Non fanno cose eclatanti, si svegliano, vanno al lavoro, tornano a casa, vanno a dormire. Punto. Tra loro ci sono i buoni e i cattivi. Fin da piccoli, ci insegnano anche questo. Poi ci sono gli eroi. Questi, a differenza delle persone comuni, compiono gesti di grande importanza. Sono votati al sacrificio anche della propria vita, per il bene di quella degli altri. Nessuno conosce la loro identità finché non ti imbatti in uno di loro all’azione. Se non sono nel pieno del proprio gesto eroico, non c’è modo di riconoscerli perché ahimè, come le persone comuni se ne vanno in giro vestiti in modo tradizionale. In ultimo, abbiamo i supereroi. Qui non ti puoi sbagliare, se ne vanno in giro volando, oppure con corazze luccicanti, fanno cose straordinarie, salvano le persone, arrivano con le ali o con mezzi avveniristici. Portano una maschera, un costume. Li vedi e subito sai a chi ti trovi di fronte. Gira voce che all’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino, e più precisamente nel reparto di chirurgia ortopedica, ce ne sia uno. Mascherato, vestito di verde, arriva legato a un telaio motorizzato, dotato di tanta tecnologia. Chi lo vede arrivare resta di stucco. Ti viene accanto, ti addormenti poco dopo e ti sistema il problema.

Marco Dolfin, 36 anni, rimasto paralizzato alle gambe dopo un incidente in moto. Lo aiuta una specie di carrozzina verticale che lo tiene in piedi davanti al tavolo operatorio. Dalla rabbia dell’incidente ha saputo creare, ricrearsi di nuovo. Si è attaccato al suo amore per il lavoro. Che non è un lavoro, dice, ma una passione. Solo così si può continuare. Amando ciò che si è, passando per ciò che si può dare. Dare, donare, prevede il non abbandonare mai, il non abbandonarsi alla vita ma aggrapparsi a essa più forte che si può. Marco Dolfin l’ha fatto. Dopo la riabilitazione ha smesso di camminare con le sue gambe ma ha iniziato a correre con i pensieri arrivando a trovarsi ancora davanti a persone che hanno bisogno di lui. Ancora più di prima. Non si è fermato qui Marco. Nel 2016 ha partecipato alle Paralimpiadi di Rio, conquistando la medaglia di legno che punta a migliorare alla prossima edizione dei Giochi. E poi i suoi due gemellini, arrivati nel 2014. Lui non ha mai abbandonato la vita, la vita, di rimando, gli è accanto. Perde chi molla. Sempre. Dietro quel camice verde e quella maschera c’è un uomo normale. Dentro quella carrozzina verticale, c’è un superuomo. Si fa così. Persone normali che sanno di esserlo, persone normali che si trovano a dover diventare degli eroi. Persone normali che prendono calci dalla sfortuna e si mascherano per diventare qualcosa di diverso. Di più grande. Marco dice che quando i suoi pazienti lo vedono arrivare, hanno negli occhi una luce strana. Magari l’anestesia che sta facendo effetto. O magari no. Come si fa ad un certo punto della vita, se ti trovi faccia a faccia con un supereroe a restare calmo, sereno. Come fai a non chiederti “e adesso che succederà?”. Succede quello che deve. Sei salvo. Di alcuni non faranno mai un film ma poco importa. Importa poco anche come un uomo possa diventarlo. Per scelta, per caso, per forza. Nel dubbio a trovarselo davanti si può tentare di farsi raccontare la sua storia. Alla fine, come quando eravamo bambini, non si è mai attratti dal come, fosse un morso di un ragno, fosse la morte delle persone care, fosse un incidente con un ordigno atomico. Contano le avventure che nascono dopo aver indossato il costume, o la maschera, o l’armatura. Conta questo alla fine. Allora resta poco da raccontare del mezzo.
Marco Dolfin era una persona normale una volta. Ora è un supereroe.
Franco Quadalti

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