mercoledì 6 settembre 2017
Pyongyang e la strategia della tensione [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS]
Sono stato in viaggio di piacere negli Stati Uniti due volte. Al d là dell'emozione di essere in un Paese così importante, ricordo come se fosse adesso, in entrambi i viaggi, la sensazione di aver messo piede nel luogo dal quale tutto il mondo dipende. Ricordo di aver pensato che se al mondo esisteva un ”padrone”, era quello. La patria dello “yes man”. Il luogo in cui tutto inizia, e che tutto, purtroppo, può finire. Un luogo in cuoi poteva nascere ogni “ecco” e ogni “adesso basta”. Il luogo insomma. Qui, c'erano i padroni del mondo. Da qui poteva esserci ogni inizio e ogni fine di tutto. Nulla era comune. Nulla che somigliasse a ciò che avevo visto in un altra nazione del vecchio continente. In tutto un mese, tra un viaggio e l'altro il mio soggiorno. Tanto era bastato per inchinarmi a quello strapotere. Qui era diverso tutto. L'Hamburger, i pop corn, le case, purtroppo la pizza, i fiori e le strade. La gente comune, il senso civico, la forza militare. Ricordo di aver visto a San Diego quello che un tempo fu Pearl Harbor. Il tempio della flotta navale mondiale. Ho pensato a quelle navi, al mare aperto preso sotto assedio, ai militari, alla guerra. Quella vera. Negli Stati Uniti non esiste la mezza misura, in nulla. C'è il meglio. C'è il più grande, il più forte, il più veloce, il più potente. Il più devastante. Di tutto la quintessenza.
Ho visto Ground Zero. Entrambe le volte. Mi sono detto che non avrei mai dato uno schiaffo del genere a questa gente. L'avrei pagata cara. La storia, qualche anno dopo, mi avrebbe dato ragione. Chi mai, in tutto il mondo, si sarebbe presa la responsabilità di un altro affronto di quella portata? Nessuno. Credevo.
La Russia stessa, per senso di coscienza, non avrebbe mai pestato un piede così grande. Nessuno mai, dovrebbe “giocare” al buono e al cattivo con loro. Con Gli U.S.A.
Potrei quasi arrivare a dire che se proprio qualcuno, avrebbe mai potuto fare uno sgarbo al di fuori di ogni senso, sarebbe proprio partito da qui. Stelle e strisce, le padrone del mondo.
Eppure...
Leggo un giorno che la Corea del Nord, in un week-end come un altro, spara un missile dal nome accattivante. Hwasong-14.
Dopo 45 minuti di volo e raggiunta l'altezza di 3.724 Km, cade senza fare danni a imbarcazioni e aerei, nell'acque del Giappone. Cercavano un record. Nella gente comune l'hanno trovato. Durante questo viaggio, questo missile balistico ha definito la possibilità di colpire gli Stati Uniti. Tecnicamente è caduto nelle acque del sol levante, ma in realtà, ha colpito l'immaginazione di tutto il mondo. Anche delle persone che come me avevano sempre creduto fino a oggi, che nessuno si sarebbe mai preso la responsabilità di colpire anche solo “virtualmente” la patria della guerra.
I conti vengono presto fatti. Con quel missile si può colpire Los Angeles, Denver, Chicago, e altro ancora. Con quel missile, attrezzato di una testata atomica, si può andare nel cuore del mondo e fare male. Non minimizzano gli U.S.A. E con il supporto dell'ONU, minacciano sanzioni durissime. Come se forse importasse qualcosa. Nel gioco in cui si cerca quello che ce l'ha più lungo, non ci sono vincitori. Solo vinti.
Albert Einsten diceva “Io non so come si combatterà la terza guerra mondiale, ma so che la quarta si combatterà con pietre e bastoni”. Mi fa paura pensare che un tizio dalla mente così fine e dalle visioni avveniristiche, posso aver partorito una frase del genere. Il mondo è fatto da persone, e Kim Jong-un, ride di gusto guardando la perfomance del suo giocattolo. Sorride alla stampa, ride al mondo intero. Lo sbeffeggia. Sa, che da oggi, qualcuno dormirà con qualche preoccupazione in più. Personalmente non ci penso. Accadesse che il dittatore nordcoreano decidesse di fare finta che tutto è un gioco, credo che mi aprirei una birra e mi siederei sotto all'albero più grande aspettando il botto. 45 minuti di audience. Di pensieri su come sarebbe potuta andare se il mondo fosse stato un luogo sicuro, fatto di bei pensieri. Di uguaglianza e condivisione. Aspetterei il boato. Poi la risposta. Quella in cui tutto finisce, i grandi vincono e il resto del mondo, se ne va, assieme ai sogni di pace.
La faccia di Kim Jong-un è quella di uno che ha fatto la marachella. Ha la faccia di uno che sa che la rifarà ancora. Malgrado gli avvertimenti, i divieti, le punizioni. Ha la faccia di uno che non ha paura di fare una cazzata. Lui e suoi 33 anni, buttati dentro a un missile pieno di spavalderia. Un giocattolo troppo pericoloso. Un modo assurdo per far capire al più forte che non esiste una legge per fermare la follia.
Franco Quadalti
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