martedì 1 agosto 2017

Scontro su Triton. L'emergenza migranti è tutta nostra. [DOWNLOAD DISPENSE GRATIS]


Lo scenario drammatico che da anni investe le acque del Mediterraneo, mi spinge a trattare il tema del progetto Triton. Ma cos’è? Perché è subentrato al modello italiano Mare Nostrum? Ma soprattutto, che ruolo assume il nostro Paese all’interno di questa nuova pianificazione fortemente voluta da Bruxelles?
Mare Nostrum, dove nostrum stava per “dobbiamo fare tutto da soli”, lanciata dall’Italia nel 2013, è stata una missione militare e umanitaria messa in campo dall’Italia dopo un naufragio al largo delle coste di Lampedusa durante il quale morirono 366 persone. Gli obiettivi dell’operazione erano fondamentalmente umanitari: garantire la salvaguardia della vita in mare e assicurare alla giustizia i trafficanti di esseri umani. Il costo dell’operazione era di circa 9,5 milioni di euro al mese (oltre il triplo rispetto al budget mensile stimato in 2,9 milioni di Triton) e le navi coinvolte si spingevano ad operare soccorsi fino alle coste libiche.


Dopo le continue stragi di migranti nel canale di Sicilia, era quasi unanime il coro di richieste, per superare il modello operativo italiano passando ad una sorta di Mare Nostrum europeo.
Triton è l’operazione europea per il controllo del Mediterraneo centrale, lanciata il primo novembre del 2014 da Frontex, l’agenzia europea per il pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri degli Stati Ue. Il ruolo è di supportare gli Stati membri per un effettivo pattugliamento delle frontiere nella regione del Mediterraneo e di dare assistenza, durante queste operazioni, alle persone o alle navi in difficoltà. Nonostante ciò, ha sempre sottolineato la Commissione europea, Triton “non è un’operazione di ricerca e salvataggio” e si limita ad assistere gli Stati membri affinché rispettino i loro obblighi di prestare assistenza, secondo la legge del mare, alle persone in difficoltà. Triton è pensata in particolare per supportare gli sforzi delle autorità italiane ma non modifica in nessun modo gli obblighi del nostro Paese sulla protezione delle frontiere esterne e gli obblighi di ricerca e salvataggio.
Probabilmente la missione Triton era la cosa migliore da fare, forse anche l’unica possibile. Da giorni si dibatte su questo “accordo capestro” in base al quale tutti i migranti salvati nel mare Mediterraneo vengono sbarcati in Italia. Ed in effetti salta all’occhio l’atteggiamento, odioso, dei presunti, in questo caso, partner dell’Unione europea che si rifiutano di offrire i loro porti, e che neanche si prendono le persone bisognose di protezione internazionale, come in realtà dovrebbero, secondo gli accordi sottoscritti a Bruxelles. A pagare quindi, anche se poco, probabilmente troppo poco, sono anche gli altri Paesi dell’Ue attraverso la Commissione europea, e le navi in mare non sono solo quelle dei marinai italiani. Poi, certo, la nave finlandese non si porta i migranti che salva nel suo porto di HaminaKotka: ci vorrebbero settimane di navigazione, con costi enormi, rischi di ammutinamenti e una scarsissima efficienza della cosa, dovendo lasciare il teatro delle operazioni per oltre un mese, forse due tra andata e ritorno.


Il quadro fin qui delineato, in cui risulta palese lo svantaggio paradossalmente accettato dalla stessa Italia, alimenta il bisogno di “regionalizzare”, ossia di consentire alle navi che operano nell’ambito di Triton di attraccare anche in altri porti europei dopo i salvataggi in mare. All’interno del piano operativo di Triton viene specificato infatti, che le persone salvate devono essere «portate in un posto sicuro in Italia» e che «nessuna delle persone salvate (…), anche fuori dall’area operativa, può essere fatta sbarcare sul territorio di un Paese Terzo», inoltre: “In caso di un salvataggio nelle acque territoriali e zone contigue di Malta, o per assicurare la salvaguardia delle vite di persone in difficoltà, è possibile sbarcare a Malta”. È possibile, dunque. Non obbligatorio.
Occorre dunque una rinegoziazione a sostegno del concetto di “redistribuzione delle responsabilità” (anche in funzione della già nota convenzione del mare), in cui l’intero peso della sfida migratoria non sia sostenuto solamente da una manciata di Stati membri, in quanto tutti dovranno prestare solidarietà all’Italia, in virtù di cui principi che albergano all’interno dell’animus europeo.

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