Se c'è un'autrice che Dio non voglia mi provoca una specie di tic all'occhio e l'ansia, quella è Simonetta Agnello Hornby.
Scoperta per caso mente guardavo un programma di cucina condotto da Benedetta Parodi, rimasi folgorata dal suo accento dolcemente siciliano e dai suoi aneddoti. Ammetto di non sapere minimante di chi si trattasse e sono andata subito a documentarmi. Quell'anno aveva appena pubblicato "il veleno dell'oleandro", un testo magnifico che ti rapisce e ti fa venire il tic all'occhio e l'ansia. Ma perché? Perché è un crescendo di misteri familiari e dei dintorni cittadini. Un racconto delle miserie di ognuno di noi e di scheletri nell'armadio così ben costruito che non vedi l'ora di sapere come andrà a finire, da qui il tic e l'ansia!
Corsi a comprare i libri precedenti ma non li lessi in cronologia, andai ad istinto e non me ne pento.
" La zia marchesa" e " La mennulara" sono un capolavoro di famiglia. Non so se anche il lavoro della Hornby abbia in qualche modo influito sul suo scrivere , lei giudice minorile in Inghilterra, ma vedo un'indagine del'io e delle tragedie che ogni famiglia vive dentro il proprio intimo da pormi questa domanda con molta naturalezza.
Devo dire che " caffè amaro" mi è sembrato un libro che abbia fatto torto alla tradizione dei suoi testi, eppure mi sono dovuta ricredere. Nonostante scorra veloce e piacevole in tutte le sue righe alla termien del testo si scopre qualcosa di così intimo che il caffè amaro del suo titolo ti viene servito sul finire come l'ultima offerta della sua protagonista.
Le sue donne prime piene di difetti e di grandi pregi tessono caratteri di una tale bellezza così umana da non farle diventare delle paladine ma parte di una famiglia. La grandezza che trovo in questi libri è che ti fanno davvero compagnia in un susseguirsi di giornate e di storie, ti immergono in una famiglia e ti senti parte di essa. E non importa che siano esistite o siano il frutto magistrale di una grande scrittrice perché ti lasceranno una parte si se stessi e ne avrete grande nostalgia.
Katya
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