Il figlio del vento.
Quando scegli di dire basta, in realtà l'hai già fatto. Pronunciare una data poi non serve più.
Quando inizi i saluti sei andato via.
Eri già partito anzi.
È una questione di testa e di cuore.
Un addio è sempre come una firma a un documento che hai già pensato da tempo,
redatto con cura. Alla firma sei già altrove.
Solitamente poco importa cosa è successo prima. Addio.
Solitamente ma non sempre. Per alcuni ciò che resta è talmente grande che dimenticarsi sarebbe un insulto.
Nello sport, più che nella vita, resta tutto scritto. E Bolt ha fatto scrivere tanto.
Andate voi su Wikipedia a leggervi un palmares che non significa nulla se non lo avete mai visto ai blocchi.
Non conta nulla sapere quanti ori ha messo in bacheca se non avete mai visto cambiare la sua espressione tra quando
silenzioso si prepara dietro ai blocchi, a quando lo starter alza la pistola per dare il via.
In quel l'espressione c'è una vita, e se non te ne accorgi, guardare la sua bacheca, non serve a nulla.
La perfezione.
600 centesimi in quei 10 secondi di corsa e spesso se ne sbagli un paio, nessuno ti ricorda più.
Lui li ha amati tutti quei centesimi, studiati, sviluppati, sentiti dentro. Alcuni non li ha visti mai. Troppi per lui.
Ne sono sempre bastati meno per colorarsi. d'oro.
Così nei 100, così nei 200 dove di secondi ne servono di più. Ma lui, sempre, riusciva a toccarne meno degli altri.
Ogni gara, una storia a se, è vero.
L'ho visto anche girarsi verso il suo diretto avversario e sorridere.
Non ridere di lui, quello non lo sapeva fare.
Ma la vita come lo sport è un gioco e Bolt lo sapeva bene.
Sorrido perché oggi, anche oggi, tocca a me. Vinco io perché anche oggi ho capito il senso di questi secondi.
Passa una vita e in tanti non vivono mai.
In 10 secondi Bolt ti insegnava anche l'importanza di un centesimo. Un battito di ciglia.
Pronti, via...e sei dietro. Vince Bolt.
Lo sport ti insegna a crescere, a rapportarti con gli altri. Ti insegna che uno solo vince, ma se sei attento,
impari che la vittoria come la sconfitta, sono facce della stessa medaglia.
Impari anche che a perdere sempre equivale a non fare una figura peggiore di chi invece vince sempre poi viene sconfitto,
perché la gente aspetta quello
Che tu perda, che tu scenda dal trono.
La gente parla di te nel modo che più le piace.
A Bolt non è mai interessato che parlassero di lui. Lui parlava con la pista. L'unica, fedele, onesta, irrinunciabile.
L'unica che chiedeva solo una cosa, la sua presenza.
E lui c'era. A volte spocchioso alla fine, con questo gesto di vittoria che ha fatto il giro del mondo.
Quel gesto che sapeva di immortalità.
"Ricordatevi di me".
A metà novembre aveva dichiarato che dopo i Mondiali di Londra avrebbe detto addio all'atletica.
Con quella che potrebbe sembrare una scusa. "Serve una disciplina che io credo di non avere".
Al tempo la lessi come "basta, ho dato tutto, prendendo tutto, altro non serve".
Il terzo posto nei 100 metri di Londra parlano di un addio annunciato, di un futuro incerto per il prossimo Re.
Il miglior tempo l'ha scritto un altro di cui non ricordo il nome. C'è scritto anche quello su wikipedia.
Ma io ho visto i suoi occhi.
E ancora una volta, per me, ha vinto Bolt.
Nessun commento:
Posta un commento