martedì 28 novembre 2017
Un pianoforte in corsia [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
Da qualche giorno nell’atrio del padiglione 30 del policlinico Sant’Orsola di Bologna, sede degli ambulatori di Medicina nucleare e di Radioterapia, c’è un pianoforte a mezza coda.
Lo strumento musicale che più amo. C’è magia nel pianoforte. Non conosco una sola nota. Non mi ci sono mai seduto davanti. Non ricordo in effetti di averne mai toccato uno. Nemmeno quello a casa di mia figlia. Come un timore reverenziale per qualcosa di ammirato ma sconosciuto. Guardo i tasti, le corde, il suo brillare e so che da lì nasce magia. Per questa magia serve anche un mago, non suona da solo. Ogni mago ha la sua formula, la propria combinazione di elementi che fanno nascere un’emozione. L’emozione, la vera magia.
Un pianoforte in corsia è qualcosa che ha del genio. Come una teca aperta a tutti, piena di piccole ampolle e fialette colorate. Piena di tasti neri e bianchi. Ci si possono sedere tutti davanti. Un medico, un’infermiera, un tirocinante, un paziente. Si siedono e diventano maghi. Ognuno con la propria bacchetta e il proprio cappello a punta. Smettono i panni civili per un attimo. Il camice bianco, il maglioncino verde, le scarpe ballerine, ma anche la malattia che li ha condotti li. Per un attimo come per magia, ci si dimentica di tutto e si va altrove. La corsia di un reparto di Medicina nucleare e Radioterapia diventa una sala da concerto, un bosco, un deserto, una spiaggia. Chiudi gli occhi e ascolti il mago. Vai via e ti spogli di tutto. Anche a volte dei pensieri tristi. Lo dicono loro. Quelli che si siedono li, davanti a quei tasti, quelli che passano di lì e ascoltano, quelli anche che guardano il pianoforte senza che nessuno suoni. Lo guardano e si fermano un attimo. E con loro si fermano i pensieri. Come se per un istante, si allungasse la vita. Come se per quella magia si aprisse una parentesi dentro la quale non può succedere nulla di brutto o di sbagliato. Semplicemente magia.
Basta poco. Basta il pensiero. Basta pensare che siamo tutti maghi. Basta pensare che la vita è piena di elementi magici da miscelare con cura. Basta pensare che la vita è piena di tasti da premere con cura, lasciandosi andare.
Così, per salvarsi un po’.
Per vivere un attimo di più.
Franco Quadalti
Cyntoia Brown [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
Cyntoia Brown oggi ha 24 anni. Poco importa. Nel 2004 è stata processata per omicidio e da allora sconta un ergastolo. Era minorenne quando ha ucciso. Poco importa anche questo. Nell’era degli hashtag,
#freeCyntoiaBrown è diventato virale. Star di tutto il mondo scendono in campo per la revisione del processo. Importa almeno questo? No. Cyntoia Brown ha ucciso l’uomo che la stuprava da anni. Ha ucciso una volta chi la uccideva tutti i giorni. Stuprandola e costringendola a prostituirsi.
Ha detto basta. Ha preso la pistola con cui ogni volta veniva minacciata e ha chiuso la porta di quell’inferno in cui era tenuta prigioniera. Nell’era della violenza sulle donne, Cyntoia fa parlare di se e fa scendere in piazza anche il mondo dello spettacolo, dopo lo scandalo Weinstein. I pensieri divenuti prima parole, diventano grida. Cyntoia deve tornare libera. Chiudendo la porta di un inferno, ne ha aperto un’altra. Quella della galera. Giudicata come un’adulta benché minorenne, sconta un ergastolo.
Cosa c’è da dire? Non lo so. Scrivo di getto e penso che non avrebbe dovuto nemmeno fare un giorno in prigione Cyntoia. Scenderei in piazza per restituirle i giorni persi a leggere di qualcuno che la crede colpevole mentre lei si sente libera. Scenderei in piazza per mettere in ginocchio chi le ha tolto la libertà un attimo dopo averla trovata. Scenderei in piazza contro l’ipocrisia di chi pensa che una vita tolta ha sempre il sapore dell’errore da pagare. Un errore contro un orrore. Una lotta impari a dirla così. Serve coraggio a restare dietro le sbarre senza uccidersi dopo essere già morta una volta. Due volte, mille volte. Ogni giorno. Perché è così. Non muori un giorno e basta quando subisci una violenza. Da quel giorno, muori ogni giorno. Non vivi mai. Non vivi più. Poco importa forse se ti dicono che devi andare a morire in galera. Ancora e ancora. Però non è giusto. Per nulla è giusto. Ha ucciso lei chi le ha tolto tutto. Avrebbe potuto ucciderlo qualsiasi altra persona. Avrebbe dovuto ucciderla qualsiasi altra persona.
Ma ho detto che scrivo di getto e smetto.
Scrivo pensando. Scendete in piazza allora e dite che non è giusto, che ha pagato abbastanza. Tiratela fuori di prigione, e lasciate che continui a morire, ogni giorno, in libertà.
Franco Quadalti
venerdì 24 novembre 2017
Il Risk Assessment negli autori di violenza sessuale [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
Si può definire comportamento abusante, ogni comportamento che si realizza senza consenso, n una relazione non paritaria e come risultato di una coercizione.
Gli abusi sessuali comprendono: rapporto sessuale, sodomia o penetrazione anale, contatto bocca genitali, carezze, masturbazione, penetrazione con le dita o manipolazione ed esibizione. L’ abuso sessuale infantile comprende l’incesto, lo stupro, la sodomia, rapporti sessuali con bambini, pratiche o comportamenti omosessuali indecenti e libidinosi, fare fotografie pornografiche, incoraggiare i bambini a prostituirsi o a guardare materiale pornografico.
Nello specifico, l’abuso sessuale infantile può essere senza contatto, il quale comprende commenti di natura sessuale, voyeurismo, esibizionismo, guardare video pornografici, e quello con contatto che comprende baci con la bocca aperta, maneggiare o accarezzare, sesso orale, frottage
(sfregamento di uno sull’altro con addosso i vestiti), pornografia, rapporti sessuali completi, sesso anale, bestialità (atti sessuali con animali).
Per quanto attiene alla tipologia dell’abuso sessuale, si è soliti distinguere tra “abuso intrafamiliare” ed “abuso extrafamiliare”.
Vi sono vari tipi di “sex offender”:
1. Il tipo “criminale opportunista”, caratterizzato da scarso controllo degli impulsi, storia di comportamenti criminali, scarsa empatia, uso strumentale impulsivo della violenza per cui la violenza sessuale è messa in atto, occasionalmente, senza alcuna premeditazione;
2. Il tipo “non criminale-sessuale non sadico”, caratterizzato da sentimenti di inadeguatezza sulla propria sessualità e in merito alla propria immagine di sé come maschio, fantasie sessuali non aggressive, scarse esperienze di aggressioni non sessuali eccitazione sessuale durante l’abuso sessuale; tale tipo di abusatore compensa la propria inadeguatezza sessuale con la sottomissione della vittima, senza darle alcuna possibilità di ribellarsi;
3. Il tipo “criminale con rabbia pervasiva”, caratterizzato da disinibizione permanente nell’attuare l’abuso sessuale, perché la sua rabbia e la sua ostilità non permettono sentimenti socio-affettivi; in questi soggetti emerge un livello di eccitazione sessuale della stessa entità sia durante la visione di scene di violenza sessuale, sia durante la visione di scene di attività sessuali consenzienti; tale tipo di stupratore difficilmente prova un vero e proprio piacere sessuale nel compiere l’abuso, ma riesce a liberare la rabbia repressa attraverso l’azione violenta;
4. Il tipo “non criminale vendicativo”, caratterizzato da rabbia non erotizzata diretta esclusivamente verso le donne, uso di minacce verbali, volontà di umiliare la vittima; l’abusatore scarica la propria rabbia repressa procurando un senso di umiliazione nonché lesioni fisiche alla vittima;
5. Il tipo “criminale palesemente sadico”, caratterizzato da premeditazione all’abuso sessuale guidato da fantasie sessuali violente, aspetto belligerante e rabbioso, propensione a infliggere gravi lesioni fisiche alla vittima; tale abusatore si eccita brutalizzando la vittima; questa tipologia può rappresentare la personalità del serial killer a sfondo sessuale;
6. Il tipo “non criminale sadico latente” è caratterizzato dagli stessi aspetti del tipo precedente, ma senza avvertire l’esigenza di brutalizzare la propria vittima.
I trattamenti di cui siamo a conoscenza sono due, la castrazione chimica, non definitiva, attuata con farmaci a base di ormoni e la castrazione chirurgica, impiegata nel trattamento dei pazienti con comportamento sessuale criminale con risultati spesso positivi nel ridurre sensibilmente il tasso di recidiva.
Il termine recidiva deriva dal latino “recado” che significa cadere, ricadere.
Nel linguaggio giuridico, il termine indica lo stato e quindi la condizione di chi ha commesso un reato della stessa natura di un altro, precedentemente commesso, per il quale ha già subito una condanna.
Vi è la recidiva semplice, aggravata e reiterata, in base alla gravità della recidiva.
A livello internazionale, i programmi trattamentali per autori di reati sessuali che mirano principalmente alla cosiddetta gestione del rischio di recidiva (risk management); la valutazione del rischio di recidiva (risk assessment) consiste nella capacità di individuare e stimare i fattori di rischio della condotta sessualmente deviante.
Ma cosa ci si aspetta per il futuro?
Ci si aspetta che non aumenti la percentuale, già molto alta, delle violenze che hanno luogo; che le persone che subiscono una violenza parlino e non subiscano più in silenzio.
Dobbiamo farci sentire e sperare che in Italia, come in altri Stati succede, vi sia giustizia utilizzando la migliore punizione.
Ilenia Cicatello
Una vita in mani sbagliate [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
Per i medici del pronto soccorso dell’ospedale Pertini di Roma era solo
“stress”.
Dopo un calvario di ore una 14enne muore il 6 novembre.
La ragazza si è sentita male pochi minuti dopo essere entrata a scuola.
Viene chiamata l’ambulanza e la ragazza viene tenuta in osservazione per circa due ore.
I medici dicono alla madre che è stress e solo dopo insistenze fanno una tac e scoprono la causa, l’aneurisma.
Un aneurisma cerebrale è una dilatazione patologica della parete di un vaso sanguigno, solitamente un’arteria, presente nel cervello.
Questo rigonfiamento del vaso arterioso si viene a creare per lo sfiancamento della parete del vaso stesso, spesso favorita da problemi di ipertensione.
Nel punto dov’è più debole, la parete si stira, si assottiglia e si dilata.
Se l’aneurisma cerebrale dovesse rompersi, la conseguenza è un’emorragia che può causare danni irreversibili al cervello, fino allo stato vegetativo permanente e alla morte.
Spesso non vi sono sintomi evidenti.
Il sintomo più rappresentativo è un forte mal di testa, improvviso, violento e spesso accompagnato da vista offuscata o paralisi facciale.
Ho voluto scrivere riguardo il significato di “aneurisma” e dei sintomi perché è meglio essere a conoscenza di ciò che può accaderci, visto che, ad oggi, la nostra vita è in mani sbagliate.
“Oggi, per fortuna, le metodologie diagnostiche e la chirurgia permettono di individuare e intervenire sulla maggior parte degli aneurismi cerebrali a rischio di rottura”.
Ho evidenziato questo ritrovamento su internet e, diciamo la verità, lo sentiamo sempre quando guardiamo un programma di medicina.
Ma se dovessimo soffermarci su ogni parola, cosa pensereste? Cosa direste?
Io direi che è assurdo!
Sentiamo sempre parlare di sviluppo delle tecniche metodologiche, diagnostiche, dei corsi di aggiornamento seguiti dai medici, delle nuove apparecchiature utilizzate.
Mi viene spontaneo chiedermi, ma se si parla di tutto questo, perché la ragazza 14enne è morta?
Perché c’è voluta l’insistenza per effettuare una tac che, se fatta prima, avrebbe potuto salvarla?
Perché, se si parla positivamente della medicina, dell’aiuto che può dare, dei nuovi mezzi che può utilizzare, non si mette in atto tutto?
Per mancanza di volontà? Per mancanza di conoscenza? Per mancanza di cosa?
Se dovessi continuare, le domande non finirebbero mai.
Ma le solite giustificazioni, quelle che spesso ci si sente dare è la mancanza di tempo o la mancanza di personale.
Cercate di risolvere questi problemi, se veramente sono i motivi per cui molta gente muore!
Perché quel tempo non restituirà la figlia a dei genitori disperati dal dolore, quel tempo non potrà essere vissuto da una ragazza che muore a soli 14 anni, quel tempo rappresenta la nostra vita!
PRENDIAMOCI CURA DEL NOSTRO TEMPO!
Ilenia Cicatello
giovedì 23 novembre 2017
Charles Manson, una risata di morte [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
Se penso a Manson in quanto cognome, penso a Marilyn Manson, il cantante. Se rifletto scompongo il suo nome d’arte e ricordo che è composto dal nome dell’intramontabile Marilyn Monroe e dal cognome di uno dei più efferati assassini della storia. Charles Manson. Su di lui so poco, quasi nulla. Ma quanto basta per spendere due parole senza ricadere nei facili giudizi ed essere smentito. Il 19 novembre è deceduto al Kern County hospital, per cause naturali all’età di 83 anni appena compiuti. Stava scontando l’ergastolo per 7 condanne per omicidio e una per tentato omicidio. Era in carcere dal 1971. Per farla breve sul suo “palmares”, non avrebbe potuto chiedere la libertà vigilata fino al 2027. Un tipo che ne ha fatte quindi. Sharon Tate, modella, attrice e moglie di Roman Polanski, ha 26 anni e aspetta un bambino, è all'ottavo mese, il parto è previsto dopo due settimane. Trovata accoltellata assieme ad amici, nella sua casa.
Da prima Manson figura come mandante, poi viene incriminato per l’omicidio assieme ad altri. Non so chi siano, non so chi fossero. Non so nemmeno chi fosse Manson. Leggo di un’infanzia difficile, abusato e picchiato. Fanculo. Scuse. Lo arrestano assieme ai complici. Ridono. E continueranno a farlo per molto tempo. Invecchia male Manson in carcere, la sua nuova casa. Una svastica sulla fronte, i segni della galera. Cambiano anche i suoi occhi. Smette di ridere, smette di vivere. Nessuno lo nasconda dietro la durezza della sua vita, nessuno parli di pazzia. Addirittura leggo di un uomo intelligente, carismatico. Non ditemelo. È un carnefice. Lo è anche adesso che è morto. Non si cancella nella morte ciò che si è fatto in vita. Faccio sempre l’augurio che persone come queste paghino ogni giorno. Galera oppure no. Non credo però che la cosa funzioni così. Se stermini una famiglia intera poi ridi e non ti penti mai, tu sei proprio altrove. Su questa terra non c’è un tribunale adatto. È per questo che spero sempre che ci sia di più dopo. Quando leggo queste cose, mi interrogo sul “dopo” perché a pensare al “qui, adesso” ho sempre un po’ paura. Un uomo non dovrebbe mai mettersi contro la vita. Eppure, succede. Avrei voluto essere li a vedere i suoi occhi spegnersi giorno per giorno, vedere la sfrontatezza svanire. Chiedergli cosa si prova, al di là del pentirsi o meno, a vedere la vita terminare in 4 metri quadrati. Ne vale la pena almeno?? Che idiozie. L’uomo è l’animale più pericoloso sulla faccia della terra. Non ti uccide solo per fame. Anzi, spesso per fame ti incatena tenendoti in vita. Ti uccide per sfregio, per gioco, per potere, per divertimento. Non ti mangia. Ti lascia sanguinante sul pavimento e ride. Non sempre. C’è anche l’uomo buono. Ma oggi non parlo di quello. Oggi parlo di un assassino. Perché questo è. Non un pazzo, non un malato. Un essere umano. Uno qualunque. Marilyn Manson ora ha un sapore diverso. Un cantante che porta il nome di due persone morte. Una uccisa dall’uomo, una da sé stesso.
Franco Quadalti
Prigioniera [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
“Per cinque anni prigioniera di una setta. Così mi allontanarono dai miei affetti”.
Michelle Hunziker si apre per la prima volta su un’esperienza che ha segnato la sua vita.
“Ho sofferto di attacchi di panico e per anni ho creduto che sarei morta di lì a poco, per soffocamento come aveva previsto la setta”.
Come definiamo una setta?
Associazione caratterizzata da distinzione o separazione ideologica nei confronti di una dottrina.
La prima fase ha lo scopo di condurre all’isolamento l’adepto mediante l’allontanamento di quest’ultimo dal nucleo familiare di origine, quindi, dalla comunità sociale e dal contesto familiare in modo che questi perda ogni punto di riferimento. Ciò viene perseguito attraverso un serrato proselitismo con l’intento di “sedurre” l’adepto.
Una volta “ottenuto” l’adepto scatta la seconda fase il cui scopo è la manipolazione mentale, già iniziata nella fase di adescamento o reperimento dei nuovi affiliati.
La manipolazione mentale si raggiunge attraverso l’indottrinamento dell’adepto perseguito con il rigetto sistematico e aprioristico dei vecchi valori, l’incitamento alla obbedienza cieca, la richiesta di conformità ai codici prestabiliti dalla setta.
Il gruppo svolge una parte fondamentale nel coinvolgimento dell’adepto all’interno del processo manipolatorio: esso fa leva soprattutto sull’affettività del soggetto facendolo sentire amato, protetto, rassicurato.
Attua in poche parole quello che si chiama love bombing ossia un bombardamento affettivo in modo che il ricevente non riesca a vedere nient’altro che il gruppo e gli interessi che questo promuove.
Ciò, viene raggiunto attraverso l’induzione di uno stato di prostrazione psicofisica (privazione da sonno, alimentazione errata o insufficiente, rifiuto delle cure mediche tradizionali, pratiche illegali di medicina, impegno continuo) che crea uno stato di affaticamento volto a impedire la ribellione o a scoraggiare le iniziative personali.
Altre tecniche utilizzate sono il pressing psicologico da parte del gruppo per evitare ripensamenti nel soggetto; l’induzione del senso di colpa o di paura per costringerlo al silenzio o mantenerlo nel gruppo; la minaccia e/o punizione in caso di confidenze all’esterno da parte dell’adepto. A tal fine, viene incoraggiata l’adozione e l’impiego di un linguaggio criptico che impedisca la comunicazione con l’esterno.
L’adepto, fiaccato nel corpo e nella mente, è sottoposto a forti repressioni a livello emotivo, affettivo e sessuale.
La manipolazione psicologica fa leva infine sul senso di colpa esercitato attraverso l’evidenziazione delle debolezze del soggetto: con la scusa di superarle, viene invitato a confessarsi, a narrarsi, ad auto-analizzarsi, ad annotare scrupolosamente le sue emozioni.
Si intende come forma di comunicazione mediante la quale ad un individuo, senza imposizione o comando alcuno, è indotta una convinzione, un pensiero o una condizione esistenziale senza che egli se ne renda conto, possa opporvisi o avverta la ragione di farlo.
Una persona suggestionata appare in uno stato di alterata consapevolezza, manifesta una notevole capacità di subire alterazioni nella percezione e nella memoria, in conformità ai suggerimenti di colui che la esercita; il soggetto perde la capacità di autodeterminarsi e obbedisce alle richieste dell’ipnotista, anche in una situazione postipnotica.
La manipolazione mentale è definibile in questi termini come
“riprogrammazione emotivo-culturale” di un individuo con conseguente sua destrutturazione percettivo-ambientale.
“Una sera d’autunno avevo programmato di andare a teatro con una decina di amici: lei mi telefonò per dirmi di annullare. Sarebbe stato negativo per la mia energia. Ed io annullai”.
Le fasi che precedono la decisione sono fatte di umiliazioni, paura e la sensazione di aver superato il limite.
“Nella setta c’erano direttori di giornali, conduttrici di tv, autori, magistrati, poi allontanati: io ero sufficiente al progetto”.
La normalità, una volta fuori, è una lenta conquista.
“Uscita dalla setta ho trovato una guida spirituale, frate Elia, che mi ha permesso di incontrare padre Amorth: mi ha rassicurata e poi mi ha benedetto. Ho ripreso a mangiare carne solo in attesa di Sole. Prima sentivo odore di cadavere…
…Oggi non ho rancori, ho scoperto la fragilità della setta, tutto il progetto si è dissolto sotto i miei occhi”.
Michelle “svuota il sacco” o meglio dire “svuota l’anima” da momenti che hanno condizionato la sua vita per anni, ma ne esce vittoriosa!
“Vorrei solo dire di credere negli affetti veri e non nei “maestri”. Se è capitato a me non per forza deve capitare a tutti”.
Siate liberi!
Ilenia Cicatello
Baby Gang [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
Pomeriggio colmo di paura per una comitiva di ragazzi, perlopiù minorenni.
Il gruppo si è trovato nel mirino di una baby gang di una ventina di coetanei, di origini nordafricane, che prima hanno derubato un ragazzino di 14 anni, prendendolo a schiaffi, intimando una sua amica 13enne di avere un rapporto sessuale con alcuni di loro.
Al rifiuto della ragazzina, è stata strattonata violentemente, mentre i suoi amici cercavano di liberarla.
La baby gang ha anche lanciato sassi e bottiglie di vetro verso i giovani, generando una fuga generale.
Definiamo la baby gang come fenomeno di microcriminalità organizzata, i quali assumono comportamenti devianti ai danni di cose o persone.
“Devianza” è un termine che assume diversi significati all’interno della nostra società.
Dagli studi sociologici riaffiorano due definizioni principali che presentano la devianza come comportamento considerato inaccettabile dalla maggioranza della gente che risponde negativamente, e anche, come un atto, una credenza o un tratto che viola le norme convenzionali della società e che determina una reazione negativa da parti esterne.
Analizzando il comportamento deviante si cerca di fare un’analisi delle cause e delle modalità di espressione di tutti quei comportamenti che si discostano da ciò che la maggioranza dei membri di un certo gruppo sociale ritiene opportuno, ma anche delle conseguenze sia personali che sociali che derivano dalla violazione di queste stesse regole o indicazioni condivise.
Per comprendere pienamente il significato che sta alla base di un'azione deviante compiuta da un ragazzo e le sue difficoltà a "cambiare" bisogna tener conto di tutti quei processi che producono e stabilizzano la sua identità deviante, nel contesto delle azioni e delle situazioni che rendono molte volte immodificabili le sue scelte di vita.
La "devianza", in quanto costruzione sociale, è l'ombra che ogni norma violata, e pubblicamente sanzionata, proietta su certi comportamenti piuttosto che su altri.
La devianza giovanile da qualche decennio è diventato un problema sociale piuttosto rilevante: questi ultimi anni rappresentano una fase di evidente trasformazione anche in questo ambito, una trasformazione che è caratterizzata dall'incremento della delinquenza e violenza minorile, progressivo abbassamento dell'età dei ragazzi e ragazze che commettono reati, aumento di fenomeni che li coinvolgono.
Oggi la cronaca italiana riporta notizie sempre più allarmanti sugli adolescenti: casi di suicidio, violenze negli stadi, in famiglia e a scuola, uso sempre più diffuso di sostanze stupefacenti e di alcolici, fughe da casa, bullismo, risse, violenze sessuali, vandalismi sono solo alcune delle molteplici forme attraverso cui si manifesta la devianza giovanile.
Spesso il cosiddetto “disagio giovanile” è stato ritenuto il principale movente degli atti devianti.
Questi atti devianti, analizzati, scaturiscono da differenti fattori come la disgregazione familiare, il tipo di educazione, da fattori economici, culturali, che influenzano il soggetto a compiere azioni “non conformi” alla società in cui vivono.
Vengono definiti comportamenti devianti quelle condotte che vanno contro le norme, i valori ed i principi della comunità sociale di appartenenza.
Il termine devianza si riferisce quindi ad un insieme eterogeneo di comportamenti dall’aggressione al furto, dal danneggiamento al vandalismo accomunati dalla loro valenza trasgressiva.
Solo in parte tali condotte vengono a coincidere con i comportamenti delinquenziali che assumono i caratteri estremi dell’illegalità e coinvolgono le autorità giudiziarie e di polizia.
“Quando ci si accinge a spiegare un fenomeno sociale, bisogna cercare separatamente la causa efficiente che lo produce e la funzione che esso assolve”. (Emile Durkheim)
Ilenia Cicatello
Capitano Ultimo: gli occhi del Boss [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
Il Boss, Totò Riina, da qualche giorno se ne è andato lasciando dietro di se tonnellate di domande alle quali con molta probabilità non si avrà mai risposta. Una buona parte dei segreti di Cosa Nostra resteranno custoditi in questo silenzio eterno. Tra le tante domande, una. Chi era Totò Riina davvero? Una risposta sembra averla trovata il Capitano Ultimo. L’uomo che diresse il commando che portò agli arresti nel gennaio del 1993, il Boss. In una intervista, mascherato da un bavaglio mimetico per rendersi irriconoscibile, parla di quel giorno, di quell’uomo, di quegli occhi che vide dopo averlo ammanettato. Occhi. Del Capitano Ultimo sono visibili solo quelli durante l’intervista oltre che naturalmente udibili le sue parole. Parole dure. Parole decise, parole a tratti in netta discordanza tra loro. Dopo aver ascoltato tutta l’intervista, resto perplesso.
Il Capitano parla di Riina come un uomo vigliacco. Parla dei suoi occhi, e non ha dubbi. In quegli occhi vede la vigliaccheria. Parla di come le persone comuni possano averci visto il potere. Un flagello secondo il Capitano. Dove c’è il potere, non nasce nulla di bello. Parla del popolo italiano all’estero. Parla di come lui stesso sia stato accolto come un fratello dalle genti di altre parti del mondo solo per essere stato italiano. Parla della fratellanza, dell’unione. Poi torna a quel giorno. Parla del Boss. Gli si chiede se sia stato una persona cattiva, il Boss. Lui non giudica. Dice che è sbagliato farlo. Lui non è nessuno per giudicare gli altri. Parla di come le sue parole siano dettate dal suo cuore. Non è un giudizio il suo. È un sentire. Nessuno è buono o cattivo. Ma in quegli occhi, è certo, c’era un uomo vigliacco. Non entro nel merito del Riina Boss, nemmeno come uomo. Ma sono certo che negli occhi di una persona non si possa leggere la vigliaccheria. Negli occhi c’è la paura di un uomo, c’è la serenità, ci può essere la determinazione, la sicurezza. L’arroganza. La bellezza, l’innocenza. Lo stupore. La vigliaccheria di un uomo è nelle azioni che compie. Nei suoi gesti, lontano dagli occhi. La vigliaccheria è nel suo operato. Nella sua mano. Ciò che ha letto quel giorno è frutto di un giudizio dettato da anni di ricerca, da anni di azioni. Negli occhi di quell’uomo ormai solo, c’era probabilmente la consapevolezza della fine di un’epoca e l’inizio di un’altra. La vigliaccheria non la trovi tra i colori degli occhi o dall’espressione del volto. Dalle rughe della fronte o da un’espressione. È lontana da quel giorno. E se è esistita davvero, è rimasta tra le strade, per tutti quegli anni. Fino al giorno del suo arresto. Senza giudizi, senza proclami. Nel silenzio della fine di un uomo che ha dettato la sua legge, senza troppe parole.
Franco Quadalti
sabato 18 novembre 2017
Il Boss [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS]
Nato il 16 novembre 1930, morto esattamente 87 anni dopo, nel giorno del suo compleanno. Da solo. In una stanza del reparto detenuti dell’ospedale di Parma. Dopo due giorni coma, se n’è andato. Non era una persona comune. Era il capo indiscusso di Cosa Nostra. Totò Riina se ne va il 16 novembre 2017 e porta con sé i suoi segreti e anche quelli di qualcun altro probabilmente. Una vita tanto lunga quanto complessa, da raccontare e anche da comprendere. Una vita difficile da mettere giù in due righe. E raccontarla non è giusto. Non è il luogo. Dopo la sua malattia gli era stato anche negato di poter passare il resto della pena a casa, ai domiciliari. Era il Boss, non uno qualunque. Si porta via tanto, forse tutto di quegli anni.
Dopo 24 anni di latitanza fino al 1993, l’arresto il 15 gennaio di quello stesso anno. Poi altri 24 anni in prigione in carcere di massima sicurezza. Comandava lui, sceglieva, decideva. Parlava poco, nulla. E quando lo faceva, l’ultima parola era sempre la sua. Durante una visita del figlio confida infatti…”perché l'ultima parola era sicuramente la mia e quindi l'ultima parola non si saprà mai. Ci devi saper fare nella vita. Quando hai una possibilità se la sai sfruttare, l'ultima parola non la dici; te la tieni per te e puoi fare tutto su quest'ultima parola”. Al di là della sua vita, in questa sintesi c’è un modo di essere che mette sempre un passo avanti a tutti. Chi sa la verità, non la dice. Mai. Questo è il vero potere. E lui ne aveva tanto. Capo indiscusso di Cosa Nostra, il Boss. Totò Riina si è spento portandosi via i segreti degli anni di fuoco, quelli difficili, delle autostrade saltate in aria, degli omicidi a viso aperto. Della legge del più forte. Ricordo il giorno dell’arresto, un avvistamento, un appostamento, la cattura. Forse non era nemmeno nascosto. Perché le cose più grandi sono, più difficilmente le vedi perché le vai a cercare in posti impensabili. E come tutte le cose lui era lì, in quelle strade. Latitante ma forse non fuggiasco come chi scappa via e si chiude in un nascondiglio segreto.
Ora non ci sono più luoghi dai quale fuggire, non ci sono più cose da chiedere, da dire, da fare. Resta il silenzio, non quello omertoso. Quello che non porta a nulla se non al tempo che passa.
Franco Quadalti
venerdì 17 novembre 2017
Dio è grande [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS]
In sintesi, il significato dell’espressione “Allah Akbar” è questa. Dio è grande. Nulla di più. Non ci sono sottocartelle da visionare, file da analizzare, pagine correlate a queste parole che portino altrove. “Allah Akbar” significa semplicemente questo. Dio è grande. E non lo dico io. Lo dicono i musulmani. Quelli veri. Intervistando i musulmani a New York, è facile comprendere come queste parole sono state strappate al loro “uso” comune come grido di guerra. All’opinione pubblica, queste parole evocano drammi. Portano a pensare al terrorismo islamico. Rievocano paura. Esplosioni, uccisioni, omicidi, stragi. Nulla quindi, in nome di Dio. Non serve essere religiosi praticanti per comprendere come in nome di un Dio, non si possa togliere la vita a qualcuno.
I musulmani intervistati, mentre ripetono queste parole nella loro lingua, sorridono, hanno gli occhi pieni di luce. Parlano di amore, di pace, di bellezza, uguaglianza. Si rammaricano. Vedono negli occhi della gente la paura. Ascoltano grida silenziose. Dicono di non aver compreso. Si chiedono perché, in nome di Dio, si possa distruggere la vita anziché onorarla. Nella loro religione, come nella nostra, se togli la vita a qualcuno vai all’inferno. Quale Dio vorrebbe questo? Non il loro. Ne sono certi. In quelle due parole dicono esserci la vita, la devozione, lo stupore e la gratitudine. Non bastano, non basteranno le loro parole a far ricredere il mondo forse. Ciò che è stato fatto finora gridando quelle parole, ha riempito la terra di corpi senza vita. E anche io, prima di vedere questa intervista, credevo questo. Non sapevo il significato. Ma sapevo dove portava. Almeno, credevo di saperlo. Sbagliavo. Sono arrabbiati i musulmani intervistati. Ciò che leggono su di loro è una bugia. Ciò che vedono negli occhi della gente, è una bugia.
“Allah Akbar” è l’unica verità per loro. Ci stanno riuscendo a portarci via la serenità, a portarci anche le nostre credenze. Portano via anche la religione. Distruggono tutto. Fanno capo all’ignoranza delle masse. Usano la paura. Cambiano la storia. Bisogna saper aprire gli occhi. Non stiamo combattendo contro a una religione o contro a un popolo ma contro a un inganno. Oltre la religione c’è il fanatismo prima del terrorismo. È lì che va spezzata la catena. Rompere quell’anello significherebbe restituire ai popoli le proprie origini, i propri riti, i propri Dei. Per i credenti di tutto il mondo, Allah, Dio, è un nome forse che significa per tutti la stessa cosa. La fede nella salvezza, oltre questa vita. Il resto sono parole e azioni tanto dure quanto difficili da comprendere. Il non sapere il vero significato di “Allah Akbar” fa parte dell’ignoranza forse. Un altro anello da spezzare. Un altro vincolo che separa gli uomini dalla pace.
Franco Quadalti
Asilo: luogo di paura [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS]
Bari: condannate alla pena di 3 anni e 4 mesi di reclusione le due maestre baresi, attualmente sospese dal servizio, imputate per maltrattamenti su 15 bambini di un asilo di Bari.
Gli abusi sarebbero consistiti in schiaffi, colpi sferrati sul corpo, strattonamenti, pedate, calci, accompagnati dalla immobilizzazione delle mani.
L’asilo è un luogo importante per i bambini, è un luogo in cui si inizia a socializzare, ad imparare, a comunicare ma anche a divertirsi.
È un grande passo decidere di mandare il proprio figlio/a all’asilo, rappresenta il primo distacco dai genitori, dalle abitudini, dall’ambiente in cui si vive quotidianamente.
È una fase di crescita per il bambino, che lo spinge a stimoli nuovi, a nuove conoscenze, ad imparare a giocare con gli altri bambini, ad imparare ad essere autonomo.
I genitori responsabili del figlio, spaventati dal distacco, si mettono alla ricerca di strutture che abbiano ottime referenze e riscontri positivi.
Dopo aver scelto, possono pensare che il bambino sarà felice, che giocherà, si divertirà, o essere timorosi e pensare che il figlio non la prenderà bene per il distacco familiare.
Insomma, pensieri normali da genitori che si preoccupano del bene del bambino.
Ma si può mai pensare che il proprio figlio venga maltrattato all’asilo dalle maestre?
Le maestre che dovrebbero insegnare, che dovrebbero essere loro responsabili, che dovrebbero sostituire la figura del genitore, facendo sentire il bambino coccolato, ben voluto e protetto, pensano prima di agire in questo modo?
Le notizie che si ascoltano, innescano una paura tale da non riuscire a fidarsi di nessuno, da non riuscire ad essere sicuri delle scelte che si fanno.
La paura per questa società ormai allo sbaraglio diventa sempre di più.
L’asilo, la scuola, sono importanti per garantire una cultura, un futuro, un avvenire per i figli, e se vi è questo inizio non si hanno più garanzie per un futuro migliore.
Si diventa increduli dinnanzi ad una quotidianità vissuta nella quale i problemi sono di grave entità.
Lo Stato deve garantire la sicurezza che si chiede.
Non si può aspettare che succeda qualcosa di irrimediabile, bisogna agire prima.
Un luogo di istruzione non può e non deve trasformarsi in un luogo del terrore.
Voi lettori, genitori, fatevi sentire!
“Dietro ogni impresa di successo c’è qualcuno che ha preso una decisione coraggiosa”. (Peter Ferdinand Drucker)
Ilenia Cicatello
giovedì 16 novembre 2017
Dispensa la struttura del contratto PARTE 1 [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS DI GIURISPRUDENZA]
Il nostro ordinamento si ispira ad un principio di libertà, non si può richiedere una forma determinata se la stessa non sia prescritta da norma giuridica o da pattuizione. La forma libera, infatti, non costituisce la regola ma l’eccezione, anche perché i casi in cui è prevista una forma determinata sono notevolmente superiori ai casi in cui la forma viene lasciata libera.
Distinguiamo:
• FORMA AD SUBSTANTIAM: quando la forma è richiesta con la formula sacramentale a pena di nullità, ossia per la validità del contratto stesso. • NULLITA’ TESTUALE : quando risulta testualmente prevista. • NULLITÀ VIRTUALE: quando vi sono formulazioni dalle quali si è dato evincere, nel caso di inosservanza della forma richiesta, che la conseguenza è la nullità del contratto. • FORMA AD PROBATIONEM: quando la forma è richiesta ai fini della prova del contratto stesso, e non ai fini della validità. La prova del contratto può esser data con vari mezzi, talvolta però l’ordinamento limita tale possibilità disponendo che il contratto deve essere provato per iscritto. Il mancato rispetto non rende invalido il contratto, ma preclude la possibilità di provarlo con testimoni, salvo il caso di perdita incolpevole del documento che fornisce la prova, o per presunzioni. Essa, in pratica, appare come requisito della prova.
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Dispensa la struttura del contratto PARTE 1
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Dispensa Il bilancio di esercizio [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI PDF GRATIS DI ECONOMIA]
Principi contabili nazionali rappresentano norme tecniche complementare ma subordinate alle disposizioni d e legge e ai regolamenti. Essi svolgono una funzione integrativa alle norme di legge nelle aree contabili da queste non coperte , interpretativa e chiarificante ove la norma necessita di sviluppi nelle specificità tecnico operative, sostitutiva nelle norme sul bilancio in ipotesi di ricorso alla deroga obbligatoria . Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti -- principi contabili sono quei principi, inclusi i criteri e i metodi di applicazione che stabiliscono l’individuazione delle modalità di contabilizzazione degli eventi di gestione , i criteri di valutazione e quelli di esposizione dei valori di bilancio.
Regolamento n.1606/2002 in forza del quale le società facenti parte dell’UE i cui titoli sono quotate in un mercato regolamentato dell’UE sono obbligate, a decorrere dall’esercizio con inizio 01.01.2005, a redigere il bilancio consolidato secondo i principi contabili emanati dallo IASB. L’elemento di maggiore.....
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Dispensa il bilancio di esercizio
Sto bene... [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS]
Due parole che si usano spesso o forse sempre per nascondere un malessere interiore che durante le prime settimane non si nota all’esterno e si riesce a tenerlo sottovoce, dentro un corpo che inizia ad ammalarsi.
Tutto parte dalla testa. È lei che comanda.
La causa scatenante è non sentirsi accettati.
Un mezzo che distrugge è lo specchio in cui ci si guarda per la prima volta con occhi che non sono gli stessi di prima, sono occhi che vedono le persone stare bene in una società, che vedono le persone con un fisico da urlo, che vengono apprezzate, che ricevono complimenti, che dinnanzi a quegli occhi sono “perfette”.
Cosa succede alla mente?
La mente elabora un’immagine del corpo differente da quella che realmente si ha.
Si diventa affamati di quella immagine, tanto da decidere di soddisfare quella fame col cibo, tanto cibo, una vera e propria “abbuffata”, da mettere in atto in qualunque ora del giorno, anche di notte.
Lo stomaco si sazia, il corpo si guarda allo specchio, la mente reagisce. Si innesca il “senso di colpa”.
Quel senso di colpa che porta a svuotare il corpo e l’anima.
Inizia la lotta contro se stessi.
“Mangio quello che voglio ma riuscirò a dimagrire”.
Così la via più facile viene scelta consapevolmente!
“Mi nascondo e provoco il vomito”.
Dove? Ovunque!
All’inizio con paura, dopo con furbizia.
“Mamma, papà, posso alzarmi dalla tavola? Devo preparare lo zaino per andare a scuola domani e devo fare la doccia”.
Nessuno risponde no.
Quindi dopo essere sazi e aver mangiato di tutto, dimostrando ai genitori che ci si nutre, si va in quel bagno e si decide o di usare il water, rischiando che qualcuno possa sentire il rumore, o si opta per la doccia, perché “lì dentro nessuno vede e grazie al getto dell’acqua nessuno sente”.
“Mi sento libera”.
Si finisce e si è soddisfatti, perché domani quella pancia inizierà a diventare piatta, perché domani forse si riceverà un complimento, ci si sentirà apprezzati anche dalla persona di cui ci si è presa una cotta, ma che guarda i difetti e ha anche il coraggio di dirlo con estrema cattiveria.
Passano i giorni, ma guardandosi allo specchio non si vede nessun risultato.
Perché non pesarsi?
“Mai pesarsi! Lo specchio dice se sono dimagrita”.
“Perché sono grassa? Perché non sto perdendo peso?”
La disperazione inizia a prender piede e da quel momento, non si parla più di “senso di colpa” ma di “farsi del male”.
Da qui il passaggio da bulimia, “mangio tanto e poi mi libero” ad anoressia “non mangio, il mio corpo è in punizione”.
Il malessere diventa evidente agli occhi di tutti.
“Lo specchio dice che sono grassa, la gente ripete che sto male, ma io sto bene”.
“Sono stanca, non riesco a dormire, non ho le forze, non voglio vedere nessuno, non sono pronta a farmi vedere ancora”.
Il malessere corporeo e fisico passa all’anima.
Il pianto è una routine, stare a letto diventa un’abitudine, non volersi bene diventa normale.
Il malessere supera la volontà di andare avanti, il pensiero va oltre la realtà, si pensa alla morte come unica soluzione per stare bene.
“Mi taglio così, giorno dopo giorno, affondo di più la lama”.
Si prova a rischiare la morte ma non tutti hanno il coraggio di farlo.
Non tutti hanno il coraggio di affondare quella lama, non tutti hanno il coraggio di bere bevande tossiche, non tutti hanno il coraggio di stare appesi e gettare giù la sedia, non tutti hanno il coraggio perché sanno il male che fanno a loro stessi e che possono provocare alle persone che li amano, non tutti hanno il coraggio perché sono ancora consapevoli e lucidi!
Non aspettate che si perda la ragione!
La vera soluzione è chiedere aiuto e farsi aiutare!
“Ho deciso di salire sulla bilancia, ho perso 15 kg nelle ultime 4 settimane, sono stata ricoverata, sono disidratata, mi danno gli ansiolitici, mangio gli omogenizzati”.
La soluzione è parlare e non chiudersi in se stessi, la soluzione è VIVERE!
“Sono uscita dall’ospedale, ho avuto paura.Voglio stare bene”.
Non abbiate mai vergogna di voi, siate fieri della persona che siete, siate superiori alle critiche, siate tenaci, dovete credere in voi stessi e ACCETTARVI!
La perfezione non esiste!
“Sono salita sulla bilancia, ora lo faccio spesso, sto prendendo peso come speravo. Sono felice, sono VIVA. Adesso STO BENE!”.
Amatevi di più!
Ilenia Cicatello
Il cancro a 15 anni [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS]
Il mio essere pragmatico mi porta sempre a vedere cosa è reale e cosa no. Ciò che non è reale, non serve. È un vincolo. Vittoria e sconfitta sono due facce di una medaglia che non esiste. Non si vince nulla, quindi, non si perde mai. Nello sport, e anche nella vita. Poi per i più questo concetto può sembrare una bestemmia. L’importante è partecipare. Riduttivo? Forse. Parto da lontano stavolta, è vero. Ma ciò di cui vorrei parlarvi merita una parola in più. In un recente video presente in rete, alcuni ragazzi parlano della loro lotta contro il cancro. Se togli l’audio e non leggi le parole scritte, potresti essere di fronte a qualsiasi cosa. Potrebbero parlare di scuola, di sport, di relazioni amorose. Se non te la cavi bene con la lettura del labiale, potrebbero anche parlare di social network, di relazioni familiari, di fame nel mondo, di moda, di quanto la tecnologia abbia ormai preso il sopravvento, di come l’amore alla loro età, condizioni lo studio, di cancro.
Di cancro? Si. Ma come, non è possibile. Facce pulite, sorrisi, occhi vivi. Capelli in testa. Parlano di cancro? E che ne sanno questi ragazzini di cancro? Ma chi è quello che entra in una scuola e si mette a intervistare dei ragazzini su un tema così delicato? Ne parlano, ne parlano con tranquillità, lo hanno vissuto, lo vivono ancora. Ce l’hanno avuto, ce l’hanno. Facce da schiaffi, occhi lucenti, uno poi ride come se dovesse dirti che da grande vuole fare il pilota di un caccia bombardiere da quanto è fiero. Invece parlano di cancro. Di un mostro che hanno conosciuto da vicino, lo hanno visto. Gli si è presentato un giorno qualunque e ha detto “ferma, dove vai? A scuola? No oggi no. Da oggi no. Da oggi, comando io”. Mica deve essere semplice quando non sei più padrone della tua salute. Non dipende più da te. Non serve mangiare la verdura di mamma la sera per pararsi il culo, oppure lavarsi i denti accuratamente per non dover andare dal dentista. Stop. Adesso tu fai ciò che dice lui. Non ho vissuto questa esperienza però anche io una mattina non avevo più il pieno controllo del mio corpo. Così, adesso sto bene, adesso no. Adesso mi alza e vado al lavoro. Ora no. Ora non decidi più. Devi solo combattere una guerra che non pensavi possibile, contro un nemico che non conosci, contro il quale non sei mai stato preparato a giocartela ad armi pari. Vittoria? Sconfitta? Vi racconto qualcosa di me. Una mattina come tante mi sveglio e mi ritrovo a non poter più comandare la parte destra del corpo. A volte sono crampi su un polpaccio, a volte sotto la coscia. A volte perdo il controllo del braccio, a volte quindi, faccio i conti con una tazzina che cade. A volte il pugno mi si stringe così forte che devo aprirmi la mano con l’altra per non soffrire. A volte, per un solo secondo, mi sparisce la vista. Esami su esami. Un disco vertebrale spezzato, molto, troppo vicino alla testa. C’è poco tempo per prepararsi al peggio. Sala operatoria, dita incrociate. Da me non dipende nulla. Semplicemente mi affido. Mi va di culo come si dice dalle mie parti. Torno a casa meglio di prima. Qualche anno dopo, ancora. Dinamica diversa. Tremori e mancanza di sensibilità nel braccio e nella mano sinistra. Non sento caldo, freddo. Non so se sto toccando una superficie ruvida o liscia se non la vedo. Ho più tempo stavolta. Anche se la gravità del danno alla spina dorsale è importante, ho una possibilità. Ho tempo per attaccarmi a quella possibilità. E mentre le persone attorno a me hanno paura. Io sorrido. Entro in sala operatoria sorridendo. Esco, e su quell’unica possibilità che mi era stata data, torno a casa come nuovo. Ancora una volta. Ci sono dei ragazzi che parlano del cancro, lo chiamano mostro, e con il sorriso ti spiegano cosa significa perdere i capelli. Ti spiegano cosa si prova quando nel momento in cui sei più vulnerabile emotivamente, ti sparano la chemio in tutto il corpo come tu fossi un campo di pomodori da riempire di veleno per raccoglierne un
giorno dei frutti sani. Ti raccontano in maniera stringata la parte brutta, le visite, l’iter ospedaliero, le grandi paure. Ma sorridono. E questo sorriso non è il risultato del fatto che il mostro ha abbandonato il loro corpo. Ti assicuro che non è così. Quel sorriso loro ce l’avevano già prima ancora di sapere l’esito finale. La vita sempre decide per tutti. Ad un certo punto dice basta. Un gioco come dico io a volte. Un gioco strano. Un gioco bastardo a volte. Ci sono giorni in cui alcune persone si chiedono come mai non possano avere il tempo di terminare tutti i giri della gara. La vita è così. Un giorno vai a scuola, il giorno dopo no, e non per scelta tua. Uno dei ragazzi dice che probabilmente il cancro ha scelto lui, perché sapeva che lui poteva farcela. Non è così. Purtroppo c’è chi non può raccontare la propria storia. C’è chi non vedrà mai ricrescere i suoi capelli o una troupe televisiva che gira un video su quel mostro e su chi l’ha visto negli occhi. Vincere e perdere. Non si vince se resti in vita, o si perde se muori. Non è quello il traguardo. La vita la comprendi quando entri in sala operatoria sorridendo, sapendo che se c’è una possibilità, tu giochi per quella. Ci sei, sei pronto. La vita la comprendi quando il mostro ti guarda negli occhi e tu, dopo aver pianto, gli sputi in faccia e inizi a raccontarti la verità. Questi ragazzi hanno 15 anni e ti dimostrano che la paura fa parte del gioco. Che si, sono pugni forti che prendi. Poi, ehi, si gioca. Te lo dico perché ci sono passato. E tra morire e passare l’intero tempo che resta seduto su una carrozzina a scrivere con una cannuccia in bocca, non so quanta differenza ci sia. Vuoi per forza trovare un valore di vittoria o di sconfitta nella vita? Vuoi per forza dire se alla fine hai vinto oppure no? Va bene. Allora tieni gli occhi aperti sempre. Ringrazia ogni giorno che ti svegli. Sii grato. Sempre. E se un giorno tocca a te, ricordati la bellezza di questi sorrisi, ricordati che è il coraggio che ti consegnerà la tua medaglia. Non importa quanti giri fai. Falli bene. E sorridi.
Franco Quadalti
sabato 11 novembre 2017
Amazon Music Unlimited come funziona [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI GIURISPRUDENZA]
Puoi ascoltare Amazon Music Unlimited su tutti i tuoi dispositivi (smartphone, tablet, PC / Mac e Fire) al costo di 9,99 € al mese. I clienti Amazon Prime possono usufruire anche dell’abbonamento annuale a 99 € (risparmiando 2 mesi). Le famiglie possono risparmiare ancora di più con l’abbonamento Family (6 account), godendosi tutti i vantaggi di un singolo account, tra cui consigli personalizzati e playlist raccomandate, a soli 14,99 € al mese, o 149 € all’anno per i clienti Amazon Prime (risparmiando 2 mesi).
venerdì 10 novembre 2017
Dispensa Reati contro il patrimonio [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS DI GIURISPRUDENZA]
In via generale per il principio di offensività il reato deve sostanziarsi anche nell'offesa di un bene giuridico, non essendo concepibile un reato senza offesa. Esso presuppone ed integra il principio della materialità del fatto: mentre questo assicura contro l'incriminazione di meri atteggiamenti interni, quello garantisce altresì contro la incriminazione di fatti materiali non offensivi.
Il principio di offensività trova riconoscimento oltre che nella legge ordinaria già nella stessa Costituzione con i disposti degli artt. 25, 27 e 13. In particolare:
• la libertà personale può essere compressa soltanto per la tutela di un diverso interesse costituzionalmente rilevante: sarebbe pertanto inammissibile una sua compressione che prescinda dall'esigenza di tutelare un diverso bene giuridico;
• per dare un senso alla distinzione costituzionale tra le funzioni delle pene e delle misure di sicurezza, occorre che le pene conseguano alla lesione di un bene giuridico: la incriminazione di fatti di mera disubbidienza trasformerebbe la pena in una misura esclusivamente preventiva volta a colpire la mera pericolosità dell'agente, che farebbe venir meno la distinzione tra i due tipi di sanzione.
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Il bambino farfalla [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS]
“Da qui in poi mostrerò immagini che sono impressionanti ed esclusive; riguardano uno studio in corso, vi chiedo di non scattare fotografie”.
Con queste parole, nel 2015, Michele De Luca, direttore del Centro di Medicina Rigenerativa “Stefano Ferrari” dell’Università di Modena e Reggio Emilia, apre la sua conferenza. Appaiono delle foto. Un bambino di soli sette anni, Siriano, emigrato in Germania con la famiglia. Il corpo completamente spellato, sanguinante. Il piccolo è affetto da una malattia genetica chiamata epidermolisi bollosa. La proteina che dovrebbe tenere attaccata la pelle e l’epidermide, non viene prodotta dal suo organismo e purtroppo si ritrova a dover far fronte a un dramma destinato a vederlo morire. In attesa di questa morte, il bambino era tenuto in coma farmacologico. Era. Ma non è morto. Com’è possibile?
L’Italia è il Paese dove oggi lavorano alcuni gruppi di ricerca leader mondiali sulle staminali, anche se solo pochi anni fa, si parlava di bufala Stamina di Vannoni. Ciò che è accaduto, ha dell’incredibile per l’opinione pubblica. Negli ultimi due anni infatti De Luca ha preso in carico il caso di questo bambino rendendolo l’unico scopo della sua ricerca. Il bambino ora vive e un pizzicotto che prima poteva procurargli una lacerazione dolorosissima, adesso rimane quello che è, un pizzicotto, uno scherzo, una risata. Riprendendo studi e tecnologie già sviluppate nel 2006, De Luca ha curato quel bambino. La sua equipe ha prelevato quattro centimetri quadrati di pelle, da cui ha ricavato alcuni milioni di staminali della pelle, che hanno geneticamente corretto, fatto espandere in coltura fino a raggiungere la superficie necessaria per ricoprirne il corpo. Questa pelle, quasi miracolosamente, è rimasta attaccata. Non era mai successo nella storia della medicina che un tessuto solido di così grandi dimensioni, fosse ottenuto in coltura e che non fosse degenerato perdendo funzionalità o producendo cellule tumorali. Ma stavolta è accaduto. È accaduto grazie a questi scienziati. Grazie al Comitato Etico tedesco che ha autorizzato un trattamento per uso compassionevole fondato su una solida base di dati. Grazie alla Germania. Si, perché in Italia tutto ciò non sarebbe fattibile. In Italia non si danno permessi in 30 giorni per un trattamento di trapianto equiparato a un farmaco. Si rallenta, si chiudono porte. Si vincola e tanto altro. I miracoli accadono altrove. Almeno per stavolta. Sperando sempre meno “per stavolta”. Li ho chiamati miracoli, è stato un errore. Questa è scienza. Il frutto del duro lavoro e di studi di persone qualificate. De Luca è anche presidente dell’associazione “Luca Coscioni per la Libertà di Ricerca” e si è speso pubblicamente insieme a Paolo Bianco ed Elena Cattaneo per bloccare Stamina. C’è una vita di sacrifici dietro a questo miracolo. C’è tanta Italia. Non quella politica. Si aprono porte verso il futuro. Una volta, almeno per una volta, la farfalla perde le ali, ed è meglio così.
Franco Quadalti
Elena, di amore, di precarietà, e di altre belle cose [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS]
33 anni, senza amore per scelta sua, senza lavoro per scelta di altri. Tra l’uovo e la gallina, nasce prima l’esigenza concreta di sentirsi realizzati. Di essere quella persona sognata anni prima sui banchi di scuola. Una scelta difficile però. Non è qui che si può scegliere un lavoro per lei. Qui c’è solo attesa, un paio di mesi racconta Elena in una lettera. Un paio di mesi. Tanto dureranno i suoi pochi risparmi. Allora un futuro presumibilmente altrove. Senza soldi per ora. Senza amore. La sua scelta. La scelta di non legarsi perché poi alla fine si va via. Solitamente si va via quando le cose vanno male. Lei sa che poi dovrà andare via comunque dall’amore. Allora no. O almeno, allora non qui. Di certo, non ora. Nella foto che vedo sorseggia qualcosa. I suoi occhiali da sole sul tavolino e guarda il mare. Si vede che non è felice. Probabilmente si sente sola. Abbandonata. Non dalla gente, ma da un sistema che la inchioda su quella banchina a guardare il mare senza nessuna opportunità concreta per far fruttare i suoi studi e le sue innumerevoli esperienze lavorative passate. Sottopagate tra l’altro. E non c’è che da crederle. Purtroppo è una triste realtà. Elena sceglie di restare sola. Ha visto già altri suoi amici molto preparati in ambito lavorativo dover andare via dall’Italia e lasciare il cuore a casa, o portarlo con sé tutto fracassato. Il cinismo ormai ha preso il posto della voglia di qualcuno accanto, dice. L’unica cosa che può scegliere ora è un no a qualcuno. Non ci prova nemmeno. Inutile. Di testa le scriverei che purtroppo ha ragione.
Che il pane non si guadagna con l’amore e non si mangia con gli abbracci. Le scriverei che andarsene tra due mesi, quando saranno finiti i soldi è sbagliato. Andarsene subito, oggi, adesso, è la scelta giusta. Appoggiare quel bicchiere, mettere gli occhiali sulla testa perché non c’è neppure il sole e sparire. Primo treno, e via. Altrove. Dove poco importa, tanto peggio di così si muore. Ma con la testa non si vive mai fino in fondo. Le scriverei quello che davvero penso. Le scriverei che muori quando finisci di sognare. Le scriverei che muori quando hai il cuore chiuso. Che se vede il mare può sempre sentirsi al sicuro. Che non è scappando che si risolvono i problemi e non è certo creandone altri che si risolvono i primi. Le scriverei che non è scritto da nessuna parte che i suoi amici hanno fatto la scelta giusta a lasciare il cuore qui per andare via, o hanno abbandonato qualcuno e se stessi per dirsi che si mangia solo altrove.
Le scriverei che il cinismo non è la soluzione alla vita. È un muro e non una scala. L’amore invece è un ascensore. Le scriverei di lasciare aperti gli occhi e il cuore, le speranze, e se vuole anche la valigia. Tanto quello che deve accadere, accade. Con noi o senza di noi. La vita sa sempre cosa è meglio. Non scegliamo noi per lei e quando ci imponiamo di farlo, ci facciamo male. Bisogna trovare se stessi prima di trovare qualcun altro, questo è vero. Ma non credo lei sappia chi è fino in fondo, se ha scelto di andare via rotolandosi tra le mani quei pochi soldi nelle tasche. Io non ho la soluzione al suo problema. Posso solo dire che il no all’amore come rifugio al non soffrire un giorno, è sbagliato. Posso solo dire che il lavoro qui è difficile perché le persone sono sbagliate. È la gente, sempre la gente che rallenta il corso della vita. La propria e quella degli altri. Che la mette a sedere a sorseggiare qualcosa con gli occhi diretti troppo lontano, in un posto che non sanno nemmeno se esiste.
Franco Quadalti
mercoledì 8 novembre 2017
"Caccia furtiva": lo stalking [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS]
Torino: sono vicine di casa, ma non si sopportano e le loro liti finiscono in Tribunale.
Imputata di stalking contro la sua dirimpettaia è una donna di 45 anni che respinge ogni addebito.
Tra le accuse aver messo la musica a tutto volume, aver sbattuto 132 volte il portoncino del pianerottolo, aver lasciato teste di topo morto sullo zerbino della vicina, averla insultata.
“Era venuta a trovarci un’amica, quando abbiamo sentito dei rumori sul pianerottolo. Abbiamo sbirciato dal nottolino e c’era la nostra dirimpettaia con i pantaloni abbassati, che ci mostrava il sedere”.
Questo il racconto del compagno della vittima, chiamato come testimone.
Il termine “stalk” è variamente traducibile nella nostra lingua come “caccia in appostamento” “caccia furtiva”, “pedinamento furtivo”, “avvicinarsi furtivamente”, “avvicinarsi di soppiatto” (a selvaggina, nemici).
La parola “stalker” è traducibile come “cacciatore all’agguato” “chi avanza furtivamente”.
Il verbo “to stalk” è altrettanto traducibile col significato di “inseguire furtivamente la preda” e deriva dal linguaggio tecnico gergale venatorio.
La ricerca di vicinanza fisica, le attenzioni e le gentilezze che testimoniano affetto o coinvolgimento amoroso, se eccessive, assillanti, possono declinarsi in forme di persecuzione che turbano la serenità e limitano la libertà di una persona.
Tali forme di persecuzione, in passato spesso spiegate dal senso comune come messe in atto per “eccesso di amore”, vengono denominate oggi stalking.
Una caratteristica dello stalking è rappresentata dalla sua durata. Queste condotte possono protrarsi per molto tempo, anche mesi o addirittura anni.
Le forze dell’ordine dovrebbero avere una adeguata preparazione sul fenomeno comprendente la conoscenza dei comportamenti di stalking, le caratteristiche dello stalker e della vittima e la possibile violenza correlata a fattori di rischio.
E’ auspicabile che le forze dell’ordine contattino nuovamente la vittima dopo il primo colloquio. In questo modo sarà possibile intervenire più facilmente quando si verificheranno fatti nuovi e allo stesso tempo la vittima si sentirà sostenuta.
Un atteggiamento poco sensibile delle forze dell’ordine potrebbe rendere difficoltoso ottenere ulteriore collaborazione da parte della vittima.
Le forze dell’ordine dovrebbero fornire indicazioni sulle precauzioni da adottare e sulle modalità di raccolta delle prove.
Inoltre deve essere prospettata alla vittima l’eventuale necessità di un aiuto specializzato.
In alcuni casi, soprattutto quando c'è un grave rischio di violenza fisica, potrebbe essere necessario cercare un rifugio residenziale per la vittima. Se la vittima ha subito delle lesioni fisiche, è importante che si faccia visitare da un medico e che ottenga le relative certificazioni.
Secondo una recente analisi, nello stalking i fattori di rischio correlati alla violenza sono: minacce, precedenti relazioni intime, assenza di disturbi psicotici, disturbi di personalità, abuso di sostanze, storia criminale e precedenti episodi di violenza.
Ilenia Cicatello
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