venerdì 27 ottobre 2017
Anna Frank... il ricordo [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS]
Ho sentito qualche giorno fa “Il cielo in una stanza” cantata da una ragazza a X-Factor, il noto talent per cantanti. Mara Maionchi, giudice acclamato della competizione, ha pianto. Non di gioia. Ha pianto perché come dice lei, ci sono canzoni che non vanno toccate. Sono perfette così. Anzi, ha detto quasi di più. Non andrebbero nemmeno cantate da altri. Sono così e basta. Paoli la scrisse, solo lui la può cantare. Come un patrimonio. Come prendere a martellate il David, come pulire la Gioconda con il Vetril, come mettere la Maglia di una squadra di calcio ad Anna Frank. Il paragone calza. Dio non voglia che qualcuno se la prenda con il gigante di Firenze o gli salti in mente di fare pulizia al Louvre. Però ahimè, Anna Frank in vesti calcistiche, si è vista. Uno sfottò. Una idiozia. Mica perché è nata il mio stesso giorno, ma queste cose non si possono fare, non si devono. Non c’è un motivo valido per una cosa così. Uno sfregio. Ho detto “uno sfottò”. Nasce così quell’adesivo che si è visto. Uno sfottò dei tifosi laziali nei confronti di quelli romanisti. Dietro c’è ignoranza. Rabbia. Stupidità. Vado avanti? Non serve.Un odio tra due tifoserie che è degenerato nel malcostume del nostro Paese. Malato ormai. Un gesto che va al di là della facile ironia. Un gesto che nasconde l’odio per un popolo.
Si perché in fondo, anche chi ha riso alla stupida vignetta va accomunato a chi l’ha pensata, prodotta, messa in mostra. Ci dobbiamo allontanare dallo sport purtroppo. Allontanare e anche tanto. Da esempio sta diventando un veicolo di violenza, cattivo gusto, odio. Bisogna lasciarli soli quelli che si spacciano per “tifosi”. Lasciarli soli come solo è stato lasciato chi vanno a colpire con i loro adesivi. In rete siamo sommersi da “meme”. Una foto di un personaggio famoso, magari con un’espressione buffa o particolare, e nella foto un commento o una frase ipotetica detta per far ridere. Insomma, una sorta di didascalia parodica alla foto originale.A volte come in questo caso, non è una frase, ma una maglia indossata, ma di divertente non c’è nulla. Su certe tragedie non si scherza. Non si può minimizzare. Su una ragazza uccisa per colpa della più grande barbarie dell’umanità non si fa ironia. Chi non ha mai preso in mano e aperto anche solo una pagina del Diario di questa ragazzina, non deve parlare. Chi, lo ha fatto, non deve permettersi. Permettersi il lusso di ridere, di fare ironia, di scriverci su una cazzata, di cambiare una foto. Questo è un rutto durante la Turandot, una bestemmia in Chiesa, uno sputo a un Van Gogh, il dito medio alzato di fronte alla dignità di un popolo.È far ridere usando le disgrazie. È sparare su qualcuno che non si può difendere. L’ho fatta tragica? Ne servirebbe di più perché non riesco a rendere l’idea dello scempio. Di fronte a questa foto, torniamo indietro a quel tempo. Diventiamo quei carcerieri, quei carnefici. Ridendo. Non siamo diversi. Siamo anche peggio.E chi permette questo, va punito allo stesso modo di chi il gesto lo compie. Aveva 15 anni. È morta nel campo di concentramento di Bergen-Belsen. Teneva un diario, mai finito. È diventato un libro. È storia. E la storia non si cambia, non si può fare purtroppo a volte. O bisognerebbe partire da quell’adesivo che rappresenta più di 70 anni spesi a non capire nulla.
Franco Quadalti
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