martedì 31 ottobre 2017
Quando la follia dà vita al genio [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS]
PIU’ BELLA DELLA POESIA: ALDA MERINI
Alda Merini, poetessa milanese, nasce nel capoluogo lombardo il 21 marzo 1931.
Sulla sua data di nascita nel giorno tradizionale dell’inizio della primavera, Merini scrisse una poesia pubblicata nel 1991, Sono nata il ventuno a primavera:
“Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.”
Dopo alternati periodi di salute e malattia, che durano fino al 1979, la Merini torna a scrivere; lo fa con testi intensi e drammatici che raccontano le sue sconvolgenti esperienze al manicomio. I testi sono raccolti in "La Terra Santa", pubblicato da Vanni Scheiwiller nel 1984.
Lei passerà dieci interminabili anni in questo deserto: anni senza fine, poiché in manicomio i giorni sono tutti uguali, fuori dal tempo, in una ripetizione monotona e disumana di gesti ed azioni. Disumana è pure la condizione in cui i degenti sono costretti a vivere: trenta persone, potentemente sedate da psicofarmaci, sono rinchiuse a chiave in una stanza che al massimo potrebbe contenerne quindici.
“Fummo lavati e sepolti,
odoravamo di incenso.
E dopo, quando amavamo,
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno”
Alda Merini è stata una delle più vigorose voci della poesia contemporanea italiana. Una vita all’insegna della poesia e di quella
“follia” della poesia che le ha permesso di vedere la vita da un’angolatura particolare.
A chi le chiedeva chi fosse, lei rispondeva: “Alda Merini è una gran bella creatura. Bella dal punto di vista umano.”
Ma lei si distingueva soprattutto per l’acuta intelligenza, per la profonda sensibilità e per il franco anticonformismo, lei che era una “piccola ape furibonda”.
A chi le chiedeva, poi, della sua “follia”, rispondeva: “Per me guarire è stato un modo di liberarmi del passato. Tutto è accaduto in fretta. Una mattina mi sono svegliata e ho detto: che ci faccio io qui? Così è davvero ricominciata la mia vita. Ho ripreso a scrivere e ho perfino trovato quel successo che non avrei mai pensato di ottenere”.
Scoperta da Giacinto Spagnoletti, Alda Merini esordì appena quindicenne con la raccolta “La presenza di Orfeo” e mentre attirava l’attenzione della critica, incontrava, invece, difficoltà a scuola. Venne addirittura respinta quando tentò di iscriversi al liceo Manzoni, poiché, secondo alcuni insegnanti, “non era stata sufficiente nella prova d’italiano”. “Le più belle poesie/si scrivono sopra le pietre/coi ginocchi piagati/e le menti aguzzate dal mistero./Le più belle poesie si scrivono/davanti a un altare vuoto,/accerchiati da agenti/della divina follia.”
Da quel momento Alda è sempre vissuta al margine, tra il riconoscimento della sua grande capacità poetica e la sua malattia mentale, che nel 1947 la portò al ricovero in clinica, definendo così la sua sofferenza come “ombre della mente”. Con le quali, nel tempo, ha saputo convivere e con il dolore
che l’ha aiutata a entrare prepotentemente nell’animo umano. “Mi sento una donna che desidera ancora- raccontava con quella voce lenta e roca dal letto della sua camera, tra mozziconi di sigarette e pareti trasformate in rubrica telefonica – Oggi per esempio vorrei che qualcuno mi andasse a comprare le sigarette. Non ho mai smesso di fumare, né di sperare”.
Ma Alda Merini era soprattutto poeta. “I poeti lavorano di notte/quando il tempo non urge su di loro/ quando tace il rumore della folla/e termina il linciaggio delle ore./I poeti lavorano nel buio/come falchi notturni od usignoli/dal dolcissimo canto/e temono di offendere Iddio./Ma i poeti, nel loro silenzio/fanno ben più rumore/di una dorata cupola di stelle.” Quella “follia”, forse, si è identificata con la “passione d’amore”. A sedici anni s’innamora prima di Salvatore Quasimodo e poi di Giorgio Manganelli che è sposato e ha una figlia; a ventitré sposa Ettore Carniti da cui avrà quattro figlie e dopo la sua morte si lega al medico e poeta tarantino Michele Pierri. “Io sono folle, folle, folle d’amore per te/io gemo di tenerezza perché sono folle, folle, folle/perché ti ho perduto./Stamani il mattino era così caldo/che a me dettava quasi confusione/ma io ero malata di tormento, ero malata di tua perdizione.” E, forse, anche con la notte. “La cosa più superba è la notte/quando cadono gli ultimi spaventi/e l’anima si getta all’avventura.”
Per Aldo Nove “in Alda Merini la poesia insegue il mito, che insegue la poesia. Entrambi rimangono, crescono con il tempo”.
Tuttavia la parola poetica della Merini non è né oscura né ermetica, ma lineare e pura. Pura come la sua vita. Come la solitudine, la passione, il dolore, l’amore, la preghiera. Perché “più bella della poesia è stata la mia vita.”
Alda Merini muore a Milano il giorno 1 novembre 2009 nel reparto di oncologia dell'ospedale San Paolo a causa di un tumore osseo.
“Di fatto, non esiste pazzia senza giustificazione e ogni gesto che dalla gente comune e sobria viene considerato pazzo coinvolge il mistero di una inaudita sofferenza che non è stata colta dagli uomini.” (Alda Merini)
Ilenia Cicatello
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