martedì 31 ottobre 2017
Gli studenti non conoscono la classe operaia [DOWNLOAD DISPENSE APPUNTI RIASSUNTI GRATIS]
“Siamo studenti, non siamo operai”. Venerdì scorso con questo slogan, gli studenti hanno manifestato il loro dissenso all’alternanza scuola-lavoro prevista dalla legge 107, la cosiddetta “Buona scuola”. Hanno manifestato anche su altri temi a dire il vero, la sicurezza per esempio. Ma il punto non è questo. Hanno manifestato. In diverse città d’Italia, sono scesi per le strade e hanno passeggiato per i centri cittadini con cartelloni, cori e quant’altro per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica su un tema a loro molto caro. Si sentono accostati agli operai. Si sentono sfruttati. Hanno l’impressione che il loro studio si concretizzi nel fare fotocopie, portare caffè, girare per uffici a portare la posta e a dire sì signore.
Mio padre era operaio. Lavorava nella stessa azienda dove ora lavoro io. Non ci siamo dati il cambio. Lui si sporcava le mani in officina, io mi spacco la testa in sala progetti in ufficio. Se leggo la parola “operaio” penso a mio padre prima di tutto. Penso a un uomo forte, un grande lavoratore. Se penso alla parola “operaio”, apro la porta che dà sull’officina e ne vedo almeno una decina. Tutti come mio padre. Da quello con più responsabilità a quello meno, certo. Ma basta scambiare qualche parola di lavoro con loro e ti rendi conto che nessuno è uno sprovveduto.
Ricordo “gli studenti” quando uscivo dall’Istituto Tecnico dove mi sono diplomato. Forse gli ultimi che avrebbero trovato lavoro senza dover andare all’Università. Bastava aver studiato, e avere voglia di lavorare, avere voglia di fare. Ricordo che si manifestava perché la ricreazione era troppo corta, il prato non era mai tagliato e non si poteva dare due calci al pallone. Cose sciocche insomma. Ricordo che quando c’era la possibilità di andare a fare uno stage in un’azienda, assieme a degli operai veri, facevamo la fila per essere messi in lista. E per non passare la settimana sul banco a studiare una volta tanto, e per vedere il mondo reale. Operai. Un cartellino da “marcare” e 8 ore di lavoro quando andava bene. Gente comune. Lavoratori. Se vuoi poco istruita potevi trovarne, ma mai persone di poco valore. Gente tosta. Al di sopra di ogni azienda c’era quello che chiamavamo “il padrone”. Uno che non vedevi mai. Lui sì che aveva studiato. Ed era talmente preparato che si fidava della sua gente. Gli operai erano il braccio destro. Gli studenti venerdì hanno voluto fare la voce grossa. Hanno sparato alto. Ma guardando in alto appunto, non si sono preoccupati troppo di dove camminavano e come si dice dalle mie parti, hanno pestato una merda. Lo slogan non è piaciuto nemmeno a Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl che su Twitter ha postato un chiaro “Piccoli snob radical-chic monopolizzano i movimenti degli studenti contro il loro futuro. Chiedano scusa agli operai che a differenza loro sanno quanto paghiamo gli anni di ritardo sull’alternanza studio-lavoro”.
C’è una crepa, ma da quella crepa non entra luce. Purtroppo ne esce uno scontro decisamente di cattivo gusto.Voglio dire, “siamo studenti mica galline!” La legge 107 non impone a nessuno di fare le uova, perché nel caso, lo slogan avrebbe avuto senso. Ma diciamola tutta. Ne ho visti tanti e conosciuti parecchi di studenti che scaldavano gli atenei con il loro calore corporeo pur di non lavorare. Ma io non ho mai sentito nessun operaio manifestare al grido di…”siamo operai mica studenti!!” durante la cassa integrazione. Siamo seri, tra i tanti studenti con il cartello in mano, tra quelli che gridano di non voler portare caffè o fare fotocopie, c’è anche qualcuno che il caffè lo porterà tutta la vita e continuerà a fare le fotocopie per venti anni almeno. E se lo farà, sarà solo merito suo. Mio padre mi disse, “voglio che tu ti diplomi, che studi e che non resti un ignorante come me, poi andrai a fare quello che vuoi senza che nessuno ti debba dire nulla. E io,appena uscito dalla scuola, ho scelto di fare l’operaio.
“Siamo studenti, non siamo operai”. E di questo vi ringrazio.
Franco Quadalti
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